In Sardegna, Campania e Sicilia il top di bocciati e di alunni con “debito”: è ancora allarme Sud

Entro il 31 Agosto, o al massimo la prima decade di settembre, nelle scuole in cui non si è concluso prima delle ferie l’iter del recupero dei debiti da parte degli alunni, si saprà quanti altri alunni delle scuole superiori non arriverà alla classe successiva.

Ricordiamo che sulla base dei dati ufficiali emessi dal Ministero dell’Istruzione il 31,4% degli studenti sardi delle superiori porta a casa un’insufficienza da recuperare, contro una media nazionale del 25,9%. E i non ammessi all’anno successivo sono il 14,7%, contro una media nazionale del 9,6%. Quelli campani e siciliani che non ce l’hanno fatta a superare l’anno successivo sono rispettivamente l’11,5% e l’11%. Tutti numeri che speriamo non aumentino considerevolmente visto che non tutte le scuole hanno scrutinato gli alunni “indebitati”.

Queste inoltre sono anche le regioni dove si abbandonano i banchi con più facilità.

E’ un paradosso che siano tra le stesse regioni dove l’anno prossimo vi saranno più tagli di docenti, oltre 900 in meno. In queste zone servirebbe invece un organico maggiorato, deroghe sulla formazione delle classi e rilanciare l’apprendistato puntando sull’immenso patrimonio artistico che detengono. Oltre che ricondurre le classi al monte ore massimo giornaliero, espandendo le attività progettuali.

Le due maggiori isole italiane e quella campana si confermano, dunque, le regioni con più difficoltà di rendimento scolastico. Da un recente studio nazionale sul periodo 2008-2013 è infatti emerso che tra le prime dieci province con maggiore dispersione di alunni alle superiori figura Caltanissetta (con quasi il 42% di iscritti al primo anno di cui si sono perse le tracce), Palermo e Catania, Ragusa, Sassari, Cagliari, Napoli e Oristano.

Dovrebbe quindi far riflettere la scelta del Miur, indotta solo da tassi demografici e migratori, di tagliare il prossimo anno a queste tre regioni oltre 900 docenti. Anief torna a ripetere che i ragazzi che lasciano la scuola sono destinati a diventare Neet (persone che non studiano più e non cercano più lavoro), soprattutto perché vivono in aree del Paese dove il tasso di disoccupazione è alto e la produzione industriale risulta debole. Quindi in quelle zone occorrerebbe assegnare un numero di docenti maggiore. A questo intervento andrebbe aggiunta la riduzione del numero di alunni per classe. Solo riducendo il numero di ragazzi, spesso ‘difficili’, si può avere la possibilità che gli interventi compensativi, mirati al potenziamento delle loro capacità, possano avere possibilità di successo.

L’andamento è purtroppo ben diverso: i finanziamenti che il Miur assegna anche per questo genere di attività, tramite l’assegnazione dei fondi al Mof e quindi al Fondo d’Istituto, dal 2011 ad oggi sono stati tagliati di ben due terzi complessivi, da circa 1 miliardo e mezzo a poco più di 500 milioni da dividere per le oltre 8mila scuole autonome italiane.

Per arginare la situazione, inoltre, lo Stato dovrebbe investire con convinzione sull’alternanza scuola-lavoro.

E’ inutile pertanto leggere statistiche in un unico senso. Giorni fa è nata la polemica delle troppe lodi agli esami di stato nelle regioni meridionali.

fotoClasseL’unica visione che si vuol dare del sud è quella di una società corrotta, a tutti i livelli. Si ruba, quindi si rubano anche i voti a scuola.

I dati statistici forniti dal Ministero parlano chiaro: le regioni del Sud hanno un numero di lodi superiore rispetto al Nord. In Puglia (regione nella quale si sta investendo molto in istruzione, che purtroppo va a rimpinguare spesso il Nord a causa dell’emigrazione) ci sono 4 volte le lodi della Lombardia, ottimi risultati anche in Campania e Sicilia.

“Scandaloso”, “non è possibile”, “i docenti sono troppo di manica larga”, “i dati statistici parlano chiaro, queste eccellenze non coincidono con i dati Invalsi.” Questi sono stati i commenti più diffusi.

Certo, dipende da come si leggono e da come si interpretano in relazione anche al territorio a cui fanno riferimento. Insieme ai dati iniziali sulle bocciature, questi dati, all’apparenza discordanti, in realtà rispecchiano la variegata e difficile realtà del Sud.

Se, infatti, al suo interno troviamo realtà di degrado molto forti (economiche e di conseguenza socio-culturali), ne troviamo altrettante di eccellenza. Altro fattore: la scuola al Sud è importante ed è vista spesso come l’unica ancora per fuggire da difficili situazioni economiche e strumento di riscatto sociale. E come risposta, lo Stato taglia cattedre in nome di quella perequazione che va sempre a vantaggio del Nord.

A dimostrarlo proprio le prove Invalsi, che se viste nel suo complesso, come semplice paragone tra Nord (buoni risultati = voti alti), Sud (risultati inferiori = volti bassi), danno ragione ai commentatori superficiali.

In realtà, il dato che bisogna analizzare è quello relativo alla devianza tra scuole e classi. Il dato analizza le differenza dei risultati all’interno dello stesso territorio e dello stesso istituto.

Il risultato è una devianza del 5% nelle aree meridionali che sale anche fino al 9% per il Sud e le Isole. Uno scarto superiore a quello esistente nel complesso tra le Regioni del Nord e le Regioni del Sud. Mentre nel Centro-Nord, ma in particolare nel Nord Ovest e nel Nord Est, si riscontra una variabilità complessiva dei risultati decisamente inferiore rispetto al dato nazionale.

Dato che giustifica un Sud (considerato nel suo complesso) assolutamente in linea con le eccellenze nelle lodi e contemporaneamente con le eccellenze nella bocciatura. Se ne facciano una ragione gli opinionisti.

Un po’ meno i nostri governanti, e cerchino di porre dei rimedi efficaci e non effimeri a questa situazione.

 

Stefano Cavallini

Presidente Regionale Anief Campania

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