Quella sensazione di un Renzi bis senza Matteo

gentiloni-renziCi saranno rimasti molto male i ministri dimissionari Pier Carlo Padovan e Dario Franceschini alla notizia della nomina di  Paolo Gentiloni  a presidente del Consiglio incaricato. I loro nomi erano circolati nel corso della crisi aperta da Matteo Renzi con le sue dimissioni, dopo la vittoria dei No al referendum confermativo. Ma a ben guardare nessuno dei due poteva andar bene al segretario dei democrat, vero ispiratore del nuovo governo. Il primo, Padovan, troppo tecnico e troppo vicino a Massimo D’Alema, di cui è stato direttore della sua fondazione di cultura politica Italianieurope. Di Franceschini, poi, per converso, troppo politico essendo stato nel passato segretario del Pd. Insomma, nessuno dei due poteva dare a Matteo Renzi garanzie di fedeltà e di linea.

Se, come pare, il dominus del nuovo – si fa per dire – governo resta il presidente del Consiglio uscente, non sarebbe stato più logico una sua riconferma a palazzo Chigi? Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, c’è da scommetterci, le avrà provate tutte per convincere l’ex sindaco di Firenze a rimanere al suo posto. Non c’è stato niente da fare. Nemmeno l’invocazione della delicatezza dell’attuale situazione e la necessità che al comando restasse colui che certe rotte europee e mondiali ben le conosce ha sortito il miracolo.

Certo, sarebbe stato più opportuno una riconferma di Renzi, con gli obiettivi prioritari della riforma elettorale, degli interventi straordinari per il terremoto del Centro Italia e di quello, di tipo diverso, che ha colpito il Monte dei Paschi di Siena ed altri istituti di credito e, in fine,  il G7 di Taormina. Ma per il segretario del Pd la strada sarebbe stata ancora più in salita di quella attuale. Le opposizioni, e non solo,  ad ogni piè sospinto, gli avrebbero rinfacciato le sue dichiarazioni di “abbandono” se avesse perso il Si. Eppoi, c’è la questione della mediaticità. Matteo Renzi ha spinto oltre misura il piede sull’acceleratore mediatico per provare a far vincere il Si. Non c’è riuscito. E lui ben sa, come anche Silvio Berlusconi d’altronde, che “chi di mediaticità colpisce, di mediaticità perisce”. Meglio, allora, stare fuori dai primi piani televisivi e lavorare dietro le quinte. E di cose da fare ce ne ha proprio tante. In primo luogo il Partito.

C’è da provare a bloccare la discesa dal carro di quei “compagni” che non lo vedono più vincitore. Bisogna, allora, al più presto ipotizzare il precorso congressuale che dovrebbe vederlo contrapposto, per il momento, al governatore toscano Enrico Rossi che vorrebbe spostare a sinistra il manubrio della macchina del Pd. Primarie entro febbraio per il segretario dei democratici. All’”avanti tutta” di Matteo rispondono preoccupati i suoi avversari interni: “No al congresso dei potentati locali, del tesseramento gonfiato e soprattutto no alla prova muscolare che Renzi ha in mente. Se è così, le primarie se le fa da solo”.

La resa dei conti all’interno del Partito democratico è vicina. Si misurerà proprio sulle “primarie”. La non partecipazione dell’opposizione interna alle votazioni potrebbe essere l’anticamera della scissione, sempre negata dalla minoranza. I tempi e le situazioni cambiano però.

Il fronte vittorioso del No, Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, chiedono a gran voce l’andata alle urne. Per loro è importante “battere il ferro finché è caldo”, sicuri che le elezioni manderebbero a gambe all’aria l’attuale maggioranza.

Nella delicata situazione in cui versa il Paese le forze politiche dovrebbero essere più attente agli interessi generali che ai tornaconti elettorali. Un governo d’unità nazionale probabilmente sarebbe stata la migliore medicina per affrontare la situazione post-referendum. Al di là delle congetture, vere o presunte che siano, non è detto che il governo Gentiloni si limiterà ad eseguire gli ordini del segretario dei democrat. Quando sei sulla scena governativa non puoi stare sempre a leggere la parte che il “gobbo” riporta, proprio perché c’è bisogno di recitare a soggetto. E Paolo Gentiloni, forte della sua storia politica, avendo avuto un’educazione cattolica e militato nel Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS) e poi nel Partito di Unità Proletaria per il Comunismo e frequentato e collaborato con personaggi politici come Mario Capanna, Luciana Castellina, Francesco Rutelli, da tutti considerato “un moderato”, qualche sorpresa potrebbe pur darla. Staremo a vedere.

Elia Fiorillo

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