La ghianda di Giove un dono divino

Vorrei raccontarvi del noce, una delle essenze arboree più importanti della tradizione contadina dell’agro stabiano, del vesuviano, della penisola sorrentina e dei Monti Lattari. Il noce comune (Juglans regia L.) è un albero imponente alto 10-20 metri, dalla corteccia grigio chiaro che sbiadisce con l’età, la chioma ampia ed espansa con foglie grandi dall’odore fragrante, di colore verde chiaro e caduche in autunno, costituite da 5-9 segmenti (imparipennate) di cui i tre apicali lunghi 5-10 cm e i basali progressivamente più piccoli. Le infiorescenze (amenti) pendule, le maschili lunghe 5-8 cmcostituite da numerosi fiori, le femminili brevi con solo 1-5 fiori, entrambe presenti sulla stessa pianta. Il frutto è una drupa ovale dal rivestimento carnoso e verde (mallo) che racchiude una noce legnosa divisa in due logge (guscio) che contengono il seme (gheriglio), ottimo da mangiare e ricco di olio. L’origine del noce è ignota, si presume che la patria di quest’albero sia localizzata tra il Sud-Est Europa e la Cinaoccidentale. La pianta prospera però in tutta l’Europa dove da lungo tempo è ampiamente coltivata. Gli antichi romani furono grandi estimatori di quest’albero, apprezzavano il duro e pesante legno dalle eleganti venature e consideravano i frutti un’autentica prelibatezza, un dono divino. Il nome del genere Juglans significa difatti “ghianda di Giove”. Recenti studi di archeopalinologia, condotti nelle ville romane di Stabiae, dall’archeologa Paola Caprio, confermano che il noce in epoca romana era una delle principali piante coltivate nel comprensorio vesuviano. La scoperta di diverse tipologie di  polline fossile attribuibile a quest’albero fa supporre poi che già duemila anni fa in quest’area si coltivassero molteplici varietà (cultivar) di noci. Erede di queste antiche coltivazioni è la varietà che oggi conosciamo come “noci di Sorrento”, frutti apprezzati e famosi in tutto il mondo, prodotto d’eccellenza dell’agricoltura della penisola sorrentina. L’enorme considerazione per il noce ha quindi, da sempre, caratterizzato il paesaggio agrario e culturale del napoletano. Nei cortili di molte case coloniche ancora oggi troneggiano maestosi noci secolari che forniscono ombra, cibo e legno agli abitanti. La raccolta tradizionale dei frutti richiede il duro lavoro di interi nuclei famigliari, gli uomini con lunghe pertiche di castagno si arrampicano sugli alberi e battono i rami per far cadere le noci, che le donne raccolgono. I frutti vanno poi privati del mallo, operazione affidata alle sapienti mani degli anziani che, seduti in piccoli gruppetti, dedicano molto tempo a questo compito lavorando e ricordano i tempi andati della loro gioventù. Una volta ripulite, le noci, in parte vengono vendute per essere consumate fresche, ed in parte seccate al sole e poi stipate per l’inverno, così da poter essere consumate secche soprattutto nel periodo delle festività natalizie. Esclusi dal lavoro per la raccolta e la pulitura delle noci sono i bambini, infatti, nonostante i più piccoli siano ghiotti di questi frutti spesso sono assillati dal non poterli toccare perché il mallo, ricco di una sostanza colorante, tinge le mani di nero. Cosa assolutamente inaccettabile per un bimbo che deve apprestarsi a riprendere la scuola dopo la pausa delle vacanze estive, periodo questo che coincide con la raccolta delle noci. La tradizione popolare orale annovera tra i suoi racconti anche una storia miracolosa dedicata alle noci. Leggenda vuole che un frate francescano intento nella questua autunnale, in ogni casa visitata riceveva offerte di cibo che sarebbero poi servite per il sostentamento nei mesi invernali, nel suo girovagare si trovò a bussare alla porta di un contadino famoso per la sua avarizia. Il povero mendicante chiese all’uomo una manciata di noci secche, ma questi nonostante il raccolto fosse stato eccellente e la soffitta fosse stipata di sacchi di questo frutto, dichiarò che l’annata era stata nera e che di noci non ne aveva. Allora il frate nel salutarlo lo confortò dicendogli che il signore avrebbe pensato a tutto. Rimasto solo l’avaro decise di controllare il magnifico raccolto, ma con sgomento si accorse che i sacchi pieni di preziose noci erano colmi di inutili foglie. Tutto questo è il noce, tanta natura, storia e cultura. Ci avete mai pensato sgranocchiando uno dei suoi saporiti frutti?   Ferdinando Fontanella

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Naturalista e giornalista pubblicista, è laureato in Scienze della Natura, con specializzazione in Divulgazione naturalistica e Museologia scientifica, presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Particolarmente interessato e attento alle complesse relazioni del sistema natura dedica gran parte del suo tempo alle ricerche di campo, la preziosa esperienza così accumulata gli serve per raccontare le piccole e grandi meraviglie del paesaggio che ci circonda e che tutti possiamo apprezzare nel quotidiano. E-mail: ferdinando.fontanella@ilgazzettinovesuviano.com