Boscoreale, discarica: la protesta “vera” di una donna

Al di la di ogni considerazione; al di là di quanto detto e fatto; al di là della partecipazione  degli abitanti; al di là delle dichiarazioni di sindaci, amministratori, esperti e quant’altri; al di là del folklore, dei carri funebri, delle casse da morto e delle corone di fiori, c’è un  episodio della manifestazione anti discarica di sabato 17 aprile  che si staglia su tutti e tutto e che da la dimensione del coraggio civile e umano di una donna. Una mamma. Accompagnata da un bambino di nove, forse dieci, anni, si è presentata verso le 16 davanti al palazzo municipale di Boscoreale armata di un cartellone su cui aveva scritto poche parole: «chi di Vesuvio ferisce, di Vesuvio perisce». E la è rimasta. Sola. Per tre lunghe ore. Aspettando il corteo. Con suo figlio, che ogni tanto l’aiutava a reggere il cartellone. Quella mamma, quella donna, ha richiamato alla mente del cronista rotto a ogni esperienza e dal cuore di pietra una immagine non molto antica: quella del giovane cinese che a Tien An Men in mezzo alla strada, da solo, contrastò il passo di un carro armato, sino a costringerlo a fermarsi. La sua foto fece il giro del mondo. Il video costrinse anche quelli che erano scettici a scendere in strada. Quella madre vesuviana (di Boscoreale o Boscotrecase o di altro comune che fosse: è una donna del Vesuvio, è una mamma di queste terre) ha ripetuto, in piccolo, l’identico gesto. Forse senza saperlo. E per questo ancora più da esaltare. Non ha avuto paura, non ha avuto timore di critiche, di sorrisetti di scherno – come spesso si è abituati a fare in queste aree – degli uomini e delle altre donne. Si è messa la e ha civilmente, ma fermamente, manifestato il suo pensiero e la sua volontà. Per carità, non vanno dimenticate le altre donne, tante, che hanno partecipato alla manifestazione; che hanno battuto il territorio palmo a palmo per metter avvisi e manifesti indicanti i perché e i percome della manifestazione; che hanno, sabato e le altre volte, partecipato ai cortei. Ma stavano insieme, erano in gruppo. Il numero era la loro forza. Quella che stava davanti al municipio era sola. Quando è arrivato il corteo era ancora sola, con il suo cartello. Era ancora sola mentre gli altri parlavano, mentre i cronisti prendevano le dichiarazioni dei politici di turno, i fotoreporter scattavano a ripetizione puntando i flash su bare, carri funebri, folla e parvenu politici in posa per farsi immortalare. Quella donna era sola, ma era forte. Aveva la forza della mamma che, come le altre che partecipavano al corteo, difendeva il figlio e il suo futuro. Sarebbe stato bello che vicino a lei fossero arrivate altre mamme a darle man forte. Quelle con bimbi piccoli; le altre con figli adolescenti. Quelle che – dicono – si farebbero impiccare per il bene dei loro pargoli e poi li parcheggiano davanti al televisore e credono che soltanto comprando scarpe e abiti firmati li fanno felici. E, magari, sarebbe stato bello che si fosse presentata a darle man forte – solo perché sentisse solidarietà – qualcuna di quelle che criticò il corteo di protesta che il comitato anti discarica mise in piedi a  carnevale perché stava rovinando la festa del figlioletto, quel giorno in maschera. Senza sapere che quella mamma che sabato stava in piazza municipio lottava oltre che per suo figlio, che stava con lei, anche per i bimbi di quelle che se ne sono state a casa. Lottava perché tutti i bambini di questa terra vesuviana, in futuro, potessero partecipare a tanti altri carnevali. Liberi da malattie e da veleni. Sani. Perché potessero godere del sole, dell’aria, dei profumi. Perché fossero uomini e donne liberi. Nella loro terra. La terra del Vesuvio. E dei vesuviani.

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