Discariche? Stiamo pisciando sul nostro futuro

Don Carlo è anziano e la sera prima di andare a letto è solito sedersi sull’uscio della sua casa a Boscoreale, adora scambiare quattro chiacchiere con mastro Ciro un vecchietto suo coetaneo. Da un po’ di tempo le loro discussioni, qualunque è l’argomento iniziale, finiscono sempre con qualche valutazione sulla disgraziata gestione rifiuti del territorio. Ad “ispirarli” è il lezzo insopportabile che nelle ore del vespro si leva dalle vicine discariche che il governo ha aperto nelle vecchie cave di pietra vesuviana. La frase conclusiva dei ragionamenti è sempre la stessa, a pronunciarla è mastro Ciro che rivolto all’amico dice «Discariche? Stiamo pisciando sul nostro futuro!» poi saluta augurando la buona notte e se ne va. La curiosa scenetta attira molti giovani del borgo, una sera uno di loro chiede a don Carlo il significato di quella frase «Perché mastro Ciro dice che stiamo pisciando sul nostro futuro?». A questa domanda gli occhi dell’anziano si velano di lacrime, segno che un caro ricordo è affiorato nella sua mente, chiede ai ragazzi di avvicinarsi e quasi come un profeta inizia a raccontare…

In un caldo mattino primaverile di non molto tempo fa, in un’epoca non ancora avvelenata dalla modernità, un gruppo di giovani contadini vesuviani partì per dirigersi alle pendici del Vesuvio per mietere l’erba medica, che serviva a fare il foraggio da dare agli animali allevati nelle stalle. La giornata di lavoro si prospettava lunga e pesante, era necessario quindi procurarsi un buon alimento che li sostenesse dandogli l’energia necessaria per menare la falce. Si optò per un cesto di ciliegie, in fondo erano abbondanti e saporite e fu facile procurarsele vista la generosità della terra vesuviana, qualsiasi albero da frutto o pianta da ortaggio che affondava le radici in quel prezioso miscuglio di minerali vulcanici esprimeva il meglio di sé. I contadini lavorarono sfalciando i campi con dedizione e quando il sole fu alto nel cielo e la stanchezza iniziò a farsi sentire decisero di fermarsi per riposare e consumare il meritato pasto. Divorarono le ciliegie con grande appetito «È un frutto fatto così, una tira l’altra e se la compagnia è buona ne puoi mangiare una grande quantità» esclamò soddisfatto Carlo il più vorace del gruppo. Fatto sta però che i contadini nonostante avessero mangiato a sazietà le ciliegie nel cesto erano diventate appena la metà. Decisero che la cosa migliore da fare, per non portarsi un inutile peso dietro, era buttare i frutti rimasti, svuotarono il cesto con un calcio, rovesciandone il contenuto per terra e per sfregio, prima di riprendere il lavoro, ci pisciarono sopra. «A stomaco pieno si ragiona male e si commettono grosse fesserie» questo fu il commento di Ciro, uno dei contadini, dopo appena qualche ora di lavoro pomeridiano. In primavera le giornate sono lunghe e il sole nel vesuviano smette di picchiare solo a tarda sera, quelle ciliegie che prima erano apparse così inutili ora sarebbero state un vero toccasana. Decisero di fare una pausa e il caso volle che si fermassero proprio in prossimità del mucchietto di rifiuti, quelle ciliegie così disprezzate ora apparivano stupende, non ci volle molto che il più vorace dei contadini si chinò a raccogliere uno dei frutti e dopo attenta valutazione esclamò che ricordava bene «In quell’angolo nessuno aveva pisciato», mangiò la ciliegia con gran gusto e prima di sputare via l’osso si chinò a raccoglierne un’altra, ripetendo lo stesso discorso. I suoi compari ispirati dalla scena iniziarono anche loro ad esaminare le ciliegie e tutti riconobbero un angolo pulito privo di piscio. E fu così che nel giro di pochi minuti del mucchietto di ciliegie non restò nulla, i rifiuti erano stati rivalutati e divorati.

Terminato il racconto don Carlo, evidentemente emozionato dai ricordi, dice ai ragazzi: «Vedete figli miei, i nostri rifiuti sono come il cesto di ciliegie mezzo pieno, noi buttiamo via tante cose preziose e le disprezziamo solo perché oggi la nostra pancia è piena, ma non passerà troppo tempo che di tutto questo ben di Dio avremo nuovamente bisogno e ci toccherà rovistare nelle nostre discariche per campare».

Fontanella Ferdinando

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