Un altro mondo

A trasporre cinematograficamente il romanzo più noto di Carla Evangelista, “Un altro mondo”, ci ha pensato Silvio Muccino. Il giovane regista non è nuovo alla collaborazione con la scrittrice e sceneggiatrice. Ricordiamo il lavoro precedente, “ Parlami d’amore”, che  nel 2008 ottenne un grande successo al botteghino.

Il film tratta della storia di Andrea, un giovane della Roma bene, ricco, viziato e privo di responsabilità. Il suo fidanzamento con Livia (Isabella Ragonese), ballerina affetta da anoressia e bulimia, è  completamente disimpegnato: niente promesse né dichiarazioni d’amore. La sua è una forma di depressione moderna, data dall’assoluta apatia verso il mondo che lo circonda. Un mondo di assegni in bianco, apparenze e festini alcolici, organizzati dall’amico Tommaso (Flavio Parente). Alla vigilia del suo compleanno riceve una lettera dal Kenya da parte del padre malato, che vuole incontrarlo prima di morire. L’arrivo in Africa sarà stravolgente per Andrea:  scoprirà di avere un fratellino di 8 anni, Charlie (Michael Rainey Jr.), avuto dal padre con una donna di colore, del quale dovrà occuparsi, in quanto unico parente in vita. Da questa adozione “forzata” ha origine il percorso interiore e fisico del protagonista, che lo condurrà ad un completo sconvolgimento del suo “vecchio mondo”.

Alla seconda regia, Muccino ci presenta un personaggio che, anche se diametralmente opposto a Sasha di “Parlami d’amore” , tende come quest’ultimo a realizzare la propria esigenza di autarchia. Un’esigenza  che  condurrà ad un tormentato percorso di crisi esistenziale, culminato , grazie all’imprevedibilità del fato, con una maturazione-redenzione. Le aspirazioni poetiche del regista non raggiungono livelli elevati. Infatti, la frase di lancio di Maya, “le cose non cambiano mai, cambiamo noi”, esprime una volontà poetica scialba, inconsistente, essenzialmente priva di spessore. All’evoluzione del percorso esistenziale del protagonista, non si accompagna una progressiva evoluzione delle modalità narrative. Così il film risulta incapace di  distaccarsi dalle tendenze melodrammatiche del cinema italiano degli ultimi tempi, un cinema intimista e vacuo.

Vincenza Costantino

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