San Giuseppe Vesuviano: la sentenza del Consiglio di Stato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7515 del 2010, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, e dal Ministero dell’interno – U.T.G. – Prefettura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

I signori Antonio Agostino Ambrosio, Francesco Santorelli, Giuseppe Sepe, Antonio Ambrosio, Giovanni Giugliano, Massimo Boccia, Alberto Randaccio, Franco Giugliano, Anna Cola, Michele Palmieri, Enrico Miranda, Nunzio Zurino, Armando Salerno, Vincenzo Scudieri, Rosa Spano, Antonio Areniello, Franco Annunziata, rappresentati e difesi dagli avvocati Lorenzo Lentini, Sabatino Rainone e Felice Lentini, con domicilio eletto presso il signor Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

nei confronti di

Il Comune di San Giuseppe Vesuviano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;
i signori Ciro Trotta, Paola Spena e Raffaele Barbato, quali componenti della Commissione straordinaria per il Comune di San Giuseppe Vesuviano, non costituitisi nel secondo grado del giudizio;
i signori Nicola Menzione, Carlo Cirillo, Giuseppe Boccia, rappresentati e difesi dagli avvocati Pasquale Di Fruscio e Annibale Schettino, con domicilio eletto presso il signor Mario Girardi in Roma, via Francesco Saverio Nitti,11;
il signor Salvatore Cozzolini, rappresentato e difeso dall’avvocato Pasquale Di Fruscio, con domicilio eletto presso il signor Mario Girardi in Roma, via Francesco Saverio Nitti,11;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE I n. 13720/2010, resa tra le parti, concernente SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE DI SAN GIUSEPPE VESUVIANO.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Antonio Agostino Ambrosio, Nicola Menzione, Carlo Cirillo, Giuseppe Boccia, Salvatore Cozzolini, Francesco Santorelli, Giuseppe Sepe, Antonio Ambrosio, Giovanni Giugliano, Massimo Boccia, Alberto Randaccio, Franco Giugliano, Anna Cola, Michele Palmieri, Enrico Miranda, Nunzio Zurino, Armando Salerno, Vincenzo Scudieri, Rosa Spano, Antonio Areniello e Franco Annunziata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2010 il Consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ventrella, gli avvocati Lentini, Rainone e Di Fruscio per sé e per delega dell’avvocato Schettino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Previa delega ministeriale n. 17102/128/51 del 23 gennaio 2009, il Prefetto di Napoli, con decreto n. 666/09/AREA II/EE.LL. del 28 gennaio 2009, ordinava il compimento di ogni opportuna indagine al fine di verificare la possibile sussistenza di influenze e condizionamenti da parte della criminalità organizzata nell’amministrazione del Comune di San Giuseppe Vesuviano, in tal senso disponendo l’accesso presso l’ente da parte di una commissione di verifica.

All’esito degli accertamenti la commissione, che aveva ricevuto una proroga dell’incarico in data 30 aprile 2009, redigeva la propria relazione ispettiva, che veniva depositata il 30 luglio 2009.

Di conseguenza, il Prefetto di Napoli, sulla base degli elementi acquisiti, con nota n. 77872 del 25 novembre 2009, chiedeva al Ministro dell’interno lo scioglimento degli organi di governo del Comune di San Giuseppe Vesuviano, ai sensi dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Successivamente, su proposta del Ministro dell’interno del 3 dicembre 2009, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri in pari data, con d.P.R. del 9 dicembre 2009, il Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano veniva sciolto per la durata di diciotto mesi, con affidamento della gestione del comune ad una commissione straordinaria.

2. Avverso il decreto presidenziale di scioglimento e tutti gli atti a questo presupposti, proponevano il ricorso n. 612 del 2010 al TAR per la Campania i signori Antonio Agostino Ambrosio, Francesco Santorelli, Giuseppe Sepe, Antonio Ambrosio, Giovanni Giugliano, Massimo Boccia, Alberto Randaccio, Franco Giugliano, Anna Cola, Michele Palmieri, Enrico Miranda, Nunzio Zurino, Armando Salerno, Vincenzo Scudieri, Rosa Spano, Antonio Areniello e Franco Annunziata, tutti componenti della disciolta Amministrazione, chiedendone l’annullamento, previa emanazione di idonee misure cautelari.

Intervenivano in giudizio ad adiuvandum i signori Nicola Menzione, Salvatore Cozzolino, Carlo Carillo e Giuseppe Boccia, i primi due in qualità di assessori della disciolta amministrazione, il terzo ed il quarto come consiglieri comunali.

Successivamente, con atto notificato in data 17 marzo 2010 e depositato il 24 marzo 2010, i ricorrenti proponevano motivi aggiunti di impugnazione, alla luce della documentazione versata in giudizio dall’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli.

3. Il TAR, con la sentenza n. 13720 del 2010, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato i provvedimenti impugnati, compensando tra le parti le spese del giudizio.

4. Con l’appello in epigrafe le Amministrazioni statali hanno chiesto, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto del ricorso di primo grado, previo accoglimento della domanda cautelare di sospensione della sua esecutività.

Nella camera di consiglio del 14 settembre 2010, con l’ordinanza n. 4265 del 2010, “Visto l’art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971”, la Sezione ha disposto “la fissazione dell’udienza per la trattazione nel merito della controversia alla data del 16 novembre 2010, ferma nelle more l’esecutività della sentenza impugnata”. Gli appellati hanno presentato memorie a sostegno delle proprie difese, nonché un appello incidentale autonomo.

Alcuni appellati hanno depositato memoria.

5. All’udienza del 16 novembre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza gravata il TAR per la Campania, Sede di Napoli, Sezione I, ha accolto il ricorso di primo grado (proposto avverso il d.P.R. del 9 dicembre 2009 di scioglimento del Consiglio Comunale di San Giuseppe Vesuviano per la durata di diciotto mesi, con affidamento della gestione del Comune ad una commissione straordinaria), ritenendo che gli elementi indiziari raccolti, alla base del decreto presidenziale di scioglimento, non fossero sufficienti a configurare la fattispecie definita in materia dall’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, come successivamente modificato.

Nella sentenza del TAR si richiama, anzitutto, il nuovo testo del comma 1 del citato art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 (“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, di seguito TUEL), risultante dalla modifica disposta dall’art. 2, comma 30, della legge 15 luglio 2009, n. 94, per il quale “Fuori dai casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”; si osserva, quindi, che la modifica apportata alla normativa consiste nella previsione che gli elementi sui collegamenti, diretti o indiretti, degli amministratori con la criminalità organizzata devono essere “concreti, univoci e rilevanti”, e che con ciò, in linea con quanto già definito dalla giurisprudenza, la verifica dei detti elementi viene rapportata a più rigidi parametri oggettivi, dati dalla concretezza fattuale, dalla coerenza d’insieme e dalla significatività dei fatti quali indizi dei collegamenti.

Nella sentenza si esaminano quindi i gruppi di elementi indiziari alla base della proposta ministeriale di scioglimento, che sono riassunti:

a) nei rapporti tra il Sindaco, sig. Ant. Ago. Amb., ed esponenti di un clan malavitoso facente capo al sig. Ant. Cut. (ergastolano, già appartenente alla “Nuova Camorra Organizzata”).

Nella sentenza si afferma che tale elemento risulterebbe smentito dalle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale penale di Nola, con la sentenza del 30 settembre 2009, n. 1151, nella quale è stata esclusa l’esistenza di un’associazione camorristica facente capo al sig. Cut., né vi è stato ritenuto affiliato un suo parente, il cui appoggio elettorale al Sindaco risultava motivato da finalità personali. Nell’istruttoria amministrativa non sarebbe emerso infatti, rispetto a tale risultanza in sede penale, alcun elemento di un’autonoma indagine circa l’esistenza del sodalizio camorristico, né sarebbe sufficiente allo scopo la considerazione che per i delitti di estorsione – per cui il sig. Ant. Cut. è stato condannato – è stata applicata l’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991 (legge n. 203 del 1991);

b) nella esistenza di una condizione di sensibilità di alcuni settori dell’Amministrazione comunale rispetto ad esponenti della criminalità organizzata, operanti in perpetuazione del clan facente capo al sig. Mar. Fabb., indicata da due episodi: la restituzione da parte di alcuni vigili urbani di un motorino sequestrato ad una donna che, per riottenerlo, si era rivolta a un “boss” locale esponente di spicco del clan; una intercettazione telefonica in cui, alla vigilia delle elezioni del 2007, un affiliato del detto clan faceva riferimento ad una riunione politica in cui il Sindaco gli avrebbe fatto “una mezza promessa”, a riprova dell’esistenza di una intesa preelettorale, analogamente a quanto avvenuto in passato.

Al riguardo nella sentenza si afferma che i due fatti non presenterebbero le caratteristiche di univocità e significatività previste dalla normativa; il primo infatti, non esente comunque da dubbi e incertezze probatorie, sarebbe un evento episodico non significativo di connivenza o metus della polizia municipale rispetto ad esponenti della criminalità organizzata, e quanto al secondo, per il quale non è peraltro confermata la presenza del sig. Amb. alla suddetta riunione, si richiama un’espressione sfumata (la “mezza promessa”), rispetto a cui sussisterebbero peraltro elementi di contrasto (perplessità espresse nella stessa conversazione con la necessità di picchiare nuovamente il sig. Amb.; avversione espressa nei suoi confronti dal camorrista con lo strappo di un suo manifesto elettorale);

c) nella gestione del servizio rifiuti, in relazione al fatto che le due società succedutesi nell’affidamento erano riconducibili ad uno stesso gruppo imprenditoriale collegato ad un clan egemone sul territorio di San Giuseppe Vesuviano; alla prima società (S.A.I. s.r.l.), infatti, benché colpita nel 2005 da informativa atipica, l’assegnazione del servizio non era stata revocata, in violazione del Protocollo di legalità stipulato, avvenendo ciò soltanto a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva ritenuto la legittimità dell’interdittiva prefettizia tipica a carico della società antecedente (DE.LE.CO. s.r.l.) da cui la S.A.I. s.r.l. si ritiene in fatto derivare, provvedendosi comunque, ciò nonostante, ad ulteriori affidamenti temporanei alla detta S.A.I. Nel prosieguo il servizio era stato affidato senza gara – e poi prorogato – alla Cooperativa sociale San Marco, pur in assenza dei presupposti per un affidamento diretto; la detta cooperativa operava, inoltre, con uomini e mezzi di imprese risultate positive ai controlli antimafia. Ulteriore elemento di collegamento era la presenza del figlio di un amministratore di maggioranza nell’ambito delle società incaricate della gestione del servizio dei rifiuti.

Al riguardo nella sentenza di primo grado si accolgono le giustificazioni rese dall’amministrazione comunale riguardo alla mancata considerazione della interdittiva atipica all’atto dell’affidamento nel dicembre 2005, per la sussistenza, al momento, di un annullamento giurisdizionale in primo grado della interdittiva tipica a carico della DE.LE.CO.s.r.l. e, quanto al conferimento del 30 novembre 2006 della gestione temporanea del servizio alla detta S.A.I., pur dopo la revoca dell’affidamento principale, poiché motivato da intervenuti provvedimenti cautelari in primo grado e perciò dalla oggettiva incertezza della situazione, come anche ritenuto nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6902 del 2007.

Quanto all’affidamento diretto alla suddetta Cooperativa San Marco, stante la sentenza di primo grado n. 3719 del 2009, del medesimo T.a.r., di annullamento della relativa interdittiva tipica, residua, si afferma nella sentenza, la illegittimità del detto affidamento, ma non l’indizio di influenza al riguardo di organizzazioni criminali;

d) nella scarsa attività dell’Amministrazione comunale di contrasto dell’abusivismo edilizio, per non aver proceduto all’acquisizione al patrimonio comunale, o, comunque, alla demolizione di manufatti abusivi ed essendo rimasta inerte di fronte ad illeciti relativi a due ville ritenute appartenenti a persone vicine a consorterie criminali locali; pesano, inoltre, anche la ritardata approvazione del Piano Urbanistico Comunale e l’illegittima approvazione di un Piano Urbanistico Attuativo, con l’effetto di favorire l’abusivismo edilizio e comunque gli interessi della criminalità organizzata.

Ad avviso del TAR, si tratta, per questo aspetto di elementi significativi di cattiva gestione della funzione, ma non rilevanti ai fini del soddisfacimento di specifici e dimostrati interessi di locali consorterie criminali;

e) per il settore del commercio, nel mancato recepimento del protocollo di legalità nella relativa disciplina e nel rilascio di autorizzazioni in favore di soggetti controindicati, con riferimento alle autorizzazioni all’attività di bar e ristorante rilasciate nel gennaio 2009, che, oltre ad essere illegittime, riguardavano una società appartenente ad un soggetto la cui famiglia aveva collegamenti con quella del sig. Mar. Fabb..

3. In questo quadro la sentenza conclude rilevando che assume indubbia significatività indiziaria l’atteggiamento dell’Amministrazione rispetto agli interventi abusivi commessi nelle due ville sopra citate, destando altresì sospetto il rilascio delle autorizzazioni commerciali anche sopra richiamate, ma che, rispetto all’insieme di elementi indiziari indicati nella relazione del Prefetto di Napoli, si tratterebbe di elementi insufficienti per ravvisare la legittimità del decreto di scioglimento, poiché fondati – più che sulla dimostrazione di un effettiva azione di personaggi contigui alla malavita organizzata locale volta ad evitare controlli e sanzioni – su una generale situazione di metus riconducibile agli stessi, e non tale perciò da incidere sulla valutazione globale degli elementi indiziari assunti.

4. Nell’appello le Amministrazioni statali hanno dedotto che nella specie si riscontrano gli elementi idonei a sostenere il provvedimento di scioglimento, risultando verificata la loro attendibilità complessiva e la logicità dell’apprezzamento sulle conseguenze negative in termini di compromissione della libera determinazione dell’organo elettivo, richiamato anche che tale apprezzamento è caratterizzato da ampi margini di discrezionalità, secondo quanto già dapprima definito in giurisprudenza ed in coerenza con la intervenuta modifica della normativa.

Si citano a sostegno:

a) la pendenza presso il Tribunale di Napoli di un altro procedimento penale nel cui ambito è stata emessa ordinanza di custodia cautelare a carico di soggetti operanti come espressione dell’associazione di tipo mafioso facente capo al sig. Mar. Fabb., la quale persegue lo scopo di acquisire il controllo delle attività illecite nel Comune di San Giuseppe Vesuviano anche attraverso atti di condizionamento del candidato Sindaco A.A. Amb., con ipotesi di cointeressenze tra i componenti la detta associazione (in particolare i sigg. Vinc. Amm. e Vitt. Cas.) ed esponenti di vertice dell’Amministrazione comunale;

b) la non determinante rilevanza della sentenza del Tribunale di Nola per la verifica della legittimità del provvedimento di scioglimento del Comune, poiché relativa a fatti di estorsione nei confronti di privati senza alcuna analisi dei rapporti o condotte posti in essere dal sig. Cut. rispetto all’Amministrazione comunale, mentre l’istruttoria amministrativa è stata svolta con autonome valutazioni basate su episodi non considerati dal primo giudice, come l’incontro avvenuto tra il Sindaco e il sig. Cut. nel giugno del 2006 in cui, a fronte del sostegno al Sindaco nelle elezioni comunali del 2007, è stato garantito l’affidamento ad un cugino del camorrista della responsabilità della intera area tecnica comunale, nonché l’assunzione a tempo determinato della nipote del camorrista;

c) la significatività degli episodi del rilascio del motorino a seguito dell’intervento di un esponente di spicco del clan facente capo al sig. Mar. Fabb. e della intercettazione telefonica, in data 20.5.2007, e perciò a ridosso delle imminenti elezioni (svoltesi il 27 e 28 maggio successivi) in cui un affiliato del clan (Vinc. Amm.) faceva riferimento, con riguardo ad una riunione politica tenutasi nella villa di un “boss” locale, alla “mezza promessa” ricevuta dal Sindaco, che testimonia il legame tra il Sindaco ed il clan in occasione delle elezioni prossime, nonché delle precedenti, come indicato nella relazione prefettizia;

d) l’indicazione, emersa nel medesimo contesto, che il sig. Amb. era già stato aggredito in passato e che ciò avrebbe potuto essere necessario nel cedere alla sue promesse, richiamandosi al riguardo la giurisprudenza sulla legittimità dello scioglimento del consiglio comunale quando gli organi dell’Ente, pur non concorrendo volontariamente, subiscano l’infiltrazione mafiosa senza opporvisi;

e) la vicenda dell’affidamento del servizio rifiuti, poiché dato a ditta risultata positiva ai controlli antimafia ed operante in prosecuzione di società prima affidataria a sua volta colpita da interdittiva tipica, e, in linea generale sempre conferito, dal 1998 al 2007, a ditte riferibili a soggetti legati allo stesso gruppo imprenditoriale vicino ad ambienti controindicati, da cui deriva la stessa situazione di incertezza, evocata nella sentenza di primo grado, a causa dei giudizi insorti al riguardo, e quindi attribuito senza gara alla “Cooperativa sociale San Marco Service”, già gravata da interdittiva e oggetto di proroghe ingiustificate;

f) il riconoscimento, infine, nella stessa sentenza impugnata, della rilevanza degli elementi indiziari raccolti in materia di abusivismo edilizio e di rilascio di autorizzazioni commerciali, con la inattuazione peraltro, nel settore commerciale, delle integrazioni di disciplina prescritte dal Protocollo di legalità pure sottoscritto; dovendosi concludere, da tutto ciò, che alla data di adozione dell’impugnato d.P.R. di scioglimento sussistevano gli elementi concreti, univoci e rilevanti richiesti dalla normativa.

5. Con l’appello incidentale, gli originari ricorrenti in primo grado hanno chiesto la riforma della sentenza del TAR nelle parti in cui non ha riconosciuto l’assoluta destituzione di fondamento delle asserzioni fatte dagli organi inquirenti riguardo all’episodio della restituzione del motorino, all’asserito omesso controllo dell’Amministrazione comunale sul settore dell’edilizia privata, con riguardo specifico ai due abusi più sopra richiamati, all’indirizzo amministrativo attuato nel settore del commercio e ai relativi episodi giudicati significativi.

6. Per l’esame della controversia, il Collegio ritiene opportuno richiamare, in via preliminare, gli indirizzi di interpretazione e applicazione della normativa in materia che, in sintesi, sono stati così definiti dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa (Corte Costituzionale, sentenza 19 marzo 1993, n. 103; Cons. Stato: Sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2583; Sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1490):

– lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria;

– sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell’Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale;

– rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell’amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall’amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obbiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi.

In questo quadro la modifica normativa dell’art. 143 del TUEL si colloca con coerenza, poiché precisa le caratteristiche di obbiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che siano concrete, e perciò fattuali, univoche, cioè non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento.

6.1. L’impugnato d.P.R. di scioglimento del Consiglio comunale di San Giuseppe Vesuviano è fondato su un insieme di elementi indiziari raccolti nella relazione della Commissione di accesso del 30 luglio 2009, riassunti nella relazione prefettizia del 25 novembre 2009 e quindi nella relazione del Ministro dell’interno al Presidente della Repubblica in data 3 dicembre 2009.

Il Collegio ha approfonditamente esaminato tali elementi – unitamente alla ponderosa documentazione acquisita – per il riscontro della loro congruità per la motivazione dell’atto di scioglimento, verificando se tra essi sia possibile discernere un insieme di rilevanza tale da risultare base adeguata per l’emesso provvedimento di scioglimento, in coerenza con i parametri di legge e con i criteri di valutazione sopra riportati.Al termine di tale riscontro, il Collegio ha ritenuto fondate le deduzioni delle Amministrazioni appellanti, sulla base delle considerazioni che seguono.

6.2. In questa prospettiva, assume anzitutto rilievo la “ricerca da parte del Sindaco delle collaborazione di esponenti della criminalità locale per i propri scopi elettorali” (così nella relazione del Ministro dell’interno) in vista delle elezioni comunali da tenersi nel 2007.

All riguardo, in primo luogo il Collegio osserva che nella sentenza del Tribunale penale di Nola del 30 settembre 2009, citata nella sentenza di primo grado, pur essendo stata esclusa la costituzione di una associazione mafiosa ai sensi dell’art. 416-bis, è stato rimarcato con chiarezza come il Sindaco di San Giuseppe Vesuviano abbia chiesto appoggio elettorale al sig. Onc. Lu., riconosciuto nella stessa sentenza colpevole di reati di rapina e di estorsione, anche in concorso con il parente Ant. Cut., con l’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991 (“Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”), cioè per aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, con la condanna a tre anni e otto mesi di reclusione e alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.Emerge con ciò, pur nella assenza di una formale costituzione di una associazione di tipo mafioso, un elemento invero significativo di collegamento – a fini di vantaggio elettorale – tra il Sindaco ed un soggetto riconosciuto non soltanto colpevole di gravi reati, ma di averli commessi con le modalità della criminalità organizzata.

In secondo luogo, come è stato correttamente evidenziato nell’appello, la sentenza di primo grado non ha attribuito rilievo specifico all’incontro che il sig. Ant. Cut. ha dichiarato, in interrogatori resi all’autorità giudiziaria, di aver avuto con il medesimo Sindaco nel giugno 2006, assicurandogli in quella sede il sostegno elettorale in cambio dell’affidamento al proprio cugino della responsabilità dell’intera area tecnica comunale, incluso il servizio di gestione e raccolta rifiuti.

Il Collegio, osservato che la dichiarazione suddetta non è stata oggetto di riscontro nella citata sentenza del Tribunale di Nola (in cui si riferisce, a pag. 40, per altri profili, della fruizione di permessi da parte del sig. Cut. per ritorni in San Giuseppe Vesuviano, tra cui uno per i giorni dal 10 al 19 giugno 2006), ritiene al contrario giustificato che nella relazione della Commissione di accesso tale elemento sia stato considerato comunque rilevante poiché, come specificato nella relazione stessa, al suddetto cugino del sig. Cut., già responsabile dall’ottobre 2002 del servizio n. 9 “Protezione civile –Verde Pubblico-Edilizia scolastica” (competente anche per la gestione del servizio rifiuti), con decreto sindacale del 15 settembre 2006, di poco successivo all’indicato incontro, risulta in fatto conferita anche la responsabilità della posizione organizzativa “Lavori pubblici e urbanistica”, con attribuzione così dell’intera area tecnica (assetto poi riformato con decreto del 4.1.2008, essendo nel frattempo intervenuta, si è precisato nella relazione, la discovery delle sopra citate dichiarazioni), con obbiettiva correlazione di tempi e modalità che l’Autorità prefettizia non avrebbe potuto non considerare (non essendo inficiata l’evidenza oggettiva, agli atti dell’istruttoria prefettizia , delle circostanze suddette, dal pensionamento del precedente titolare, stante la presenza di altri responsabili di Servizi, né dal solo fatto di denunce poi sporte a contestazione dal Sindaco e dal cugino del Cut.).

Sulla rilevanza di un tale rapporto, è obiettivamente significativo che il sig. Ant. Cut. sia stato anch’egli condannato dal Tribunale di Nola, a venti anni di reclusione ed alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, per la commissione di numerosi atti di estorsione, con minacce e atti violenti, nonché con l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991.

6.3. Ad avviso del Collegio, un rilievo specifico riveste anche la complessa vicenda dell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani che, nel resoconto e nelle connesse valutazioni della Commissione di accesso, risulta essersi svolta nel modo seguente:

– aggiudicazione con atto del 27.12.2005 alla s.r.l. Servizi Ambientali Italia, con la stipula del contratto per la durata di sette anni, senza citare né considerare la relativa interdittiva atipica risultante in atti, nonostante la previa sottoscrizione dal parte del Sindaco e del Prefetto di Napoli del Protocollo di legalità, con il conseguente impegno del primo di valutare la sussistenza di interdittiva;

– revoca dell’ammissione alla gara e dell’aggiudicazione e risoluzione del relativo contratto, in data 30.11.2006, a seguito di sentenza di questo Consiglio (n. 4574 del 2006), che ha rilevato la legittimità delle informativa prefettizia tipica emessa per la società DE.LE.CO., da cui si è ritenuta derivante, di fatto, la S.A.I.;

– affidamento ciò nonostante alla S.A.I., con atto del Sindaco in pari data, dello svolgimento del servizio fino al 15 dicembre 2006;

– rigetto in primo grado del ricorso proposto dalla S.A.I. avverso i provvedimenti di revoca (sentenza del T.a.r. per la Campania 28 febbraio 2007, n. 1272, confermata con la sentenza di questo Consiglio 31 dicembre 2007, n. 6902);

– ciò nonostante, conferma con ordinanza del Sindaco del 5 marzo 2007 del rapporto contrattuale fino al 4 aprile 2007, laddove si sarebbe potuto provvedere ad affidamento in via di urgenza ad impresa non ‘gravata’, ai sensi dell’art. 57, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006;

– indizione, con determinazione dirigenziale del 6.3.2007, di gara per l’affidamento, distinta dall’assegnazione di un termine breve per la presentazione delle offerte e dalla parziale omissione degli obblighi di pubblicazione, in violazione degli articoli 70 e 66 del d.lgs. n. 163 del 2006;

– successivo affidamento in via diretta alla “Cooperativa Sociale San Marco Service” con determinazione dirigenziale n. 30 del 4.4.2007, essendo andata deserta la gara, laddove il Comune avrebbe avuto l’obbligo, in tale circostanza, di avvalersi del Consorzio di bacino per il servizio di raccolta differenziata, con doppia erogazione di denaro pubblico, altrimenti, per il medesimo servizio, e non sussistendo, comunque le condizioni per l’asserito affidamento ex art. 113 del TUEL;

– proroghe di detto affidamento per circa 2 anni, in violazione del divieto legislativo al riguardo;

– emersione di dati indizianti la circostanza dell’avvalimento da parte della citata Cooperativa di beni strumentali e risorse umane della S.A.I. e quindi della DE.LE.CO., nel quadro della successione nel tempo di ditte affidatarie di fatto tutte riconducibili al medesimo gruppo imprenditoriale.

A fronte di ciò, il Collegio ritiene che gli elementi emersi in sede amministrativa siano sufficienti a sostenere la motivazione del provvedimento di scioglimento anche per quanto attiene all’azione amministrativa per l’affidamento del servizio rifiuti.

Infatti: se è vero che all’atto della stipula del contratto con la S.A.I. (27 dicembre 2005) l’interdittiva tipica a carico della DE.LE.CO. risultava annullata con la sentenza del T.a.r. per la Campania n. 3367 del 4 aprile 2003, è anche vero che:

– avverso tale sentenza risultava interposto appello degli Uffici territoriali del Governo di Napoli e Milano, n. 8199 del 2003, con conseguente incertezza sulla sorte dell’interdittiva stessa (la cui legittimità è stata infatti poi riaffermata con la citata sentenza di questo Consiglio n. 4574 del 2006);

– gli organi comunali erano a ben a conoscenza della interdittiva atipica a carico della S.A.I, di data 4 agosto 2005 e della stipula del citato Protocollo di legalità, con impegno alla valutazione della detta tipologia di interdittiva, ciò che, nell’affidamento di cui si tratta, non risulta avvenuto;

– confermata quindi la interdittiva atipica, con atto del Prefetto del 18.10.2006, si è poi comunque provveduto ad affidamenti temporanei alla medesima S.A.I. pur potendosi procedere altrimenti in applicazione della normativa sulle situazioni di urgenza (come avvenuto, si osserva, con la successiva determinazione n. 10 del 2009 di affidamento del servizio al Consorzio GEMA, applicando propriamente l’art. 57, comma 2, lett. c), del d.lgs n. 163 del 2006);

– l’affidamento, infine, alla Cooperativa San Marco, è distinto da irregolarità, quali il ristretto termine per le offerte, le pubblicazioni omesse, le reiterate proroghe, stante, in ogni caso, la illegittimità dell’affidamento diretto, già riconosciuta nella stessa sentenza di primo grado, e dovendosi altresì rilevare che nella sopra citata sentenza del T.a.r. per la Campania, n. 3719 del 2009, di annullamento della interdittiva a carico della Cooperativa in questione, si afferma essere sufficienti le giustificazioni rese sul fitto degli automezzi da altra impresa, restando però il relativo dato di fatto del ricorso a mezzi della S.A.I. rilevato nella istruttoria amministrativa.

6.4. Quanto all’abusivismo edilizio, nelle relazioni alla base del decreto presidenziale impugnato si premette l’osservazione di carattere generale, obbiettivamente condivisibile poiché verificata nell’esperienza (e comunque coerente con la giurisprudenza di questo Consiglio), della possibile connessione tra tale fenomeno e l’azione della criminalità organizzata.

Per il caso in esame, si rileva che la linea di contrasto all’abusivismo pure formalmente definita (con atti di indirizzo dell’Amministrazione comunale) non si è tradotta in una conseguente azione operativa, anche di prevenzione, essendo state eseguite soltanto quattro demolizioni a fronte di 201 ordinanze di demolizione adottate nel periodo 2007-2009 (e delle denunce risultanti nello stesso periodo richiamate nelle difese degli appellati).

In questo contesto si collocano i due casi di abusivismo analizzati in dettaglio nelle relazioni suddette (riconosciuti nella sentenza di primo grado di “indiscutibile significatività indiziaria dell’atteggiamento assunto dall’amministrazione locale”), relativi a fabbricati indicati nella relazione prefettizia, l’uno, “nella disponibilità di un noto camorrista locale” e, il secondo, appartenente ad “un familiare di altro esponente controindicato”, restando, quanto al primo, l’indicazione fatta nella relazione di accesso (pag. 164) sull’assenza di controlli nel corso degli anni (il documento dell’Ufficio tecnico del Comune n. 6266 del 2009 riportato in atti, asseverante conformità dell’intervento allo stato, è di data 7 dicembre 2009, successiva a quella, del 3 dicembre 2009, della deliberazione del Consiglio dei Ministri sulla proposta di scioglimento, sussistendo istanza di condono risalente al 1986, n. 12403, anch’essa citata e in atti), e considerata, per il secondo, la prosecuzione dell’abuso anche dopo gli accertamenti al riguardo svolti nel 2004, e successiva istanza di condono, con la realizzazione di un intervento invero non definibile di minore entità poiché comportante una piscina di circa 110 mq e una volumetria di circa 210 mc con mura perimetrali (nota n. 18887 del 10 giugno 2009 del Servizio gestione del territorio del Comune).

6.5. Per il settore del commercio, infine, non può disconoscersi la prioritaria rilevanza dell’elemento, indicato nelle relazioni più volte citate, per cui l’unico atto comunale di regolazione generale delle autorizzazioni alle attività (ordinanza sindacale n. 213 del 14 dicembre 2006) non è integrato con quanto specificamente previsto, a contrasto delle infiltrazioni mafiose nel settore, nel Protocollo di legalità stipulato in data di poco precedente (16 giugno 2006) e recante espressamente l’impegno “ad inserire negli appositi regolamenti comunali” clausole e obblighi specificati testualmente nel Protocollo stesso.

7. Al termine della disamina degli elementi ritenuti rilevanti in sede amministrativa, ritiene il Collegio che la Commissione di accesso e le Autorità statali preposte hanno posto a base del provvedimento di scioglimento elementi obiettivi, di per sé idonei per l’applicazione dell’art. 143 del testo unico.

Risultano infatti elementi relativi: – per il Sindaco (organo determinante per l’indirizzo politico-amministrativo del Comune), a contatti orientati a fini elettorali con soggetti risultati condannati per reati di particolare allarme sociale commessi con l’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991 e, per l’azione amministrativa nel settore dei rifiuti, al mancato rilievo alla pur acquisita interdittiva prefettizia al fine del primo affidamento alla S.A.I, con affidamenti temporanei alla stessa società, pur oggetto di interdittive confermate in veste societaria precedente ed attuale (che sarebbe stato possibile conferire a impresa non gravata con giustificata procedura di urgenza), procedendo, infine, ad un nuovo affidamento, e relative proroghe, con procedimenti viziati per diversi profili; – per l’inadeguata azione di contrasto dell’abusivismo edilizio, allo scarso impegno dispiegato in concreto, in presenza di casi di abusivismo rapportabili a fabbricati in disponibilità di esponenti della criminalità organizzata; – nel settore del commercio, alla mancanza nel regolamento sul procedimento per le autorizzazioni commerciali della previsione delle misure antimafia pur concordate nell’apposito Protocollo di legalità.

8. Il Collegio ritiene che l’insieme di questi elementi indizianti sia idoneo a far giudicare adeguata l’istruttoria del provvedimento impugnato e sufficiente la sua motivazione.

Con tali elementi si compone infatti un quadro in cui si congiungono aspetti di rilevanza specifica ai fini di quanto previsto dall’art. 143, comma 1, del TUEL, riguardo al “procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi”, essendo questo di certo inciso da collegamenti indizianti la sussistenza di una influenza sul procedimento elettorale, ed alla compromissione “del buon andamento o imparzialità delle amministrazioni”, a motivo di deviazioni nella conduzione di settori cruciali nella gestione del Comune, come sono quelli relativi ai rifiuti urbani, alla disciplina dell’edilizia (nella prevenzione e repressione degli abusi) ed alle autorizzazioni commerciali.

In questo quadro il Collegio non ritiene necessario soffermarsi sugli ulteriori, pur numerosi elementi raccolti nell’istruttoria amministrativa, potendosi giudicare, per quanto detto, quelli sopra considerati di per sé sufficientemente univoci, concreti e rilevanti, considerato, da un lato, come richiamato più sopra, il differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale, e, dall’altro, l’ambito del sindacato del giudice in materia, che è esercitabile “nei limiti della presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale” (Cons. Stato, Sez. VI, 15.3.2010, n. 1490).

Tale deviazione non è dato riscontrare nel procedimento di scioglimento in esame, a fronte della significatività d’insieme degli elementi esaminati.

9. Per quanto considerato l’appello principale deve essere accolto e deve di conseguenza essere respinto l’appello incidentale poiché volto, in sostanza, a ribadire la insussistenza di singoli aspetti (di cui quelli più significativi e rilevanti sono stati sopra esaminati), nonché la erroneità degli assunti alla base dell’impugnato provvedimento di scioglimento, ritenuti invece sufficienti dal Collegio alla luce del quadro degli elementi indizianti sopra delineato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe n. 7515 del 2010, respinge l’appello incidentale, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso originario.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 16 novembre 2010 e del giorno 30 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Paolo Buonvino, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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