Il tempo nel mondo Tradizionale (I parte)

Il tempo non ha né inizio né fine.  Presenta una natura ciclica.
Tutto ciò che accade è destinato a ripetersi, sempre uguale, all’infinito.
L’eternità, dunque, è simile a un sentiero ricurvo.
Guai, però, a disperarsene:
bisogna amare la vita come se ogni suo attimo fosse irripetibile.
Friedrich Nietzsche
«Così parlò Zarathustra»
Quando una civiltà Tradizionale riuscì a mantenere viva nel tempo tutta la sua forza e la dinastia di re sacrali, la componente “olimpica”, come la definisce Julius Evola, diede un significato superiore a tutto ciò che costituì Stato, nazione e razza. Ciò non valeva solo nei ceti più alti ma anche negli strati più bassi, dove anche la sola dedizione valeva come partecipazione.
In effetti attraverso la semplice devozione, obbedienza e la fedeltà, l’azione nei principi e norme tradizionali di un semplice individuo, facevano sì che la vita dei singoli individui, anche se non riuscivano ad alimentare quella scintilla divina in sé, venisse disposta nella stessa direzione di quella di altri pochi individui che vivevano tale condizione come verità cosciente. Così facendo tutta la comunità formava un unico organismo orientato sempre verso il sovramondo, santificato in alto e via via scendendo ai gradi gerarchici inferiori, investendo tutti i domini dal pensare al sentire all’agire.
Questo era il mondo Tradizionale.
Come afferma De Giorgio  la vita di ogni popolo, civiltà e singolo individuo era volta ad una verità che la vita esterna in sé non poteva dare ma, se vissuta santamente, permette di realizzarla in parte o integralmente. Di questo mondo ne facevano una scala che portava alla libertà dal mondo.
Chiunque, popolo o singolo, usciva dalla Tradizione o ne violava le leggi e i limiti, significa cadere nel baratro del caos, retrocedere, involversi nel potere degli elementi dove la vita comanda l’individuo e non il contrario e la materia e la dissoluzione ne fa da padrona su ogni cosa.
Ogni nuova civiltà è destinata ad esser travolta, dopo un periodo più o meno lungo di aureo sviluppo, chiudendo un ciclo e, con l’avvento di una nuova civiltà, riaprendo di uno nuovo. Questa idea di caduta e di regressione da stati superiori originali a stati sempre più condizionato dall’elemento umano, mortale era molto chiara nei popoli tradizionali, a differenza dell’uomo moderno che esalta come evoluzione il senso della storia quale lui la conosce. Lo stato di involuzione iniziò in tempi lontanissimi e il termine èddico ragna-rökkr “oscuramento degli dèi” ne rappresenta in tutto e per tutto il suo significato. Per comprendere il declino delle civiltà e l’ambiente spirituale di esse, bisogna capire che l’idea di tempi storici e tempi mitologici non sono omogenee ad uno stesso tempo ma sono qualitativamente diversi.
La concezione del tempo è totalmente diversa dal punto di vista dell’uomo tradizionale da quella dell’uomo moderno. L’uomo tradizionale aveva una sensazione sovratemporale della temporaneità, tale che la percezione ne resta spiritualmente trasformata. Come afferma Evola “il tempo delle civiltà tradizionali non è un tempo storico lineare” .
Per chiarire questo punto bisogna precisare il significato che oggi si da al tempo.
Il tempo per la concezione dell’uomo moderno non è altro che un fluire lineare a senso unico di avvenimenti successivi. Una linea retta, dunque, dove gli avvenimenti si susseguono e che possono essere individuati da un “prima” o da un “dopo” rispetto ad un punto relativo, il “presente”. Ma il prima o il dopo, il passato il futuro, non conferiscono all’avvenimento nessuna qualità speciale, basti etichettarla con una data e il gioco è fatto. Nelle teorie scientifiche più vicine ai nostri tempi, poi, il tempo perde perfino questa caratteristica di linearità anemica di significato per ogni singolo avvenimento, se non per la sua “collocazione” tra una data e l’altra. Minkowskij o Einstein trattano l’idea del tempo come una “quarta dimensione dello spazio”, dove la collocazione di un avvenimento è “relativo” al sistema di riferimento prescelto. Per l’uomo moderno, quindi, il tempo non è altro che una quantità.
Per la Tradizione il tempo non è una quantità, ma una qualità è […]

Giacomo Giarraffa e Daniele Laganà

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