Chi era “Pilone”? E che cosa ci faceva un ex scalpellino del Vesuvio ai piedi del colle di Calatafimi in occasione dello sbarco dei “mille” di Garibaldi? A queste e ad altre domande risponde il giornalista Gabriele Scarpa, inviato speciale nel tempo, nell’intervista impossibile con il brigante Antonio Cozzolino. Autentica leggenda del Vesuviano, detto “Pilone” per la sua folta barba, Cozzolino combatté nell’armata del Regno delle Due Sicilie, dove raggiunse i gradi di sergente dei Cacciatori. A Calatafimi, in Sicilia, riuscì a strappare il drappo alle truppe garibaldine, prima di essere costretto a battere in ritirata. Ma “Pilone” fu soprattutto uno degli ultimi briganti ad arrendersi alle truppe piemontesi, che gli diedero la caccia per oltre dieci anni, tentando di stanarlo sui pendii del vulcano, dove Cozzolino, che era originario di Boscotrecase, stabilì il suo quartier generale. Alla fine, tradito da un compagno e abbandonato dalla camorra, cadde in un tranello in via Foria, a Napoli, e fu ucciso a colpi di pugnale a pochi passi dall’Orto Botanico.
L’ultimo brigante del Sud ricostruisce per la prima volta le imprese di Antonio Cozzolino e della sua banda: delitti e tradimenti che si consumarono all’ombra del Vesuvio nell’ambito della guerriglia tra i fedelissimi dei Borbone e le truppe di “occupazione” savoiarde scoppiata all’indomani dell’unità d’Italia nell’ex Regno delle Due Sicilie. Il libro, edito da Spazio Creativo Edizioni per la collana Visto da sud, è stato presentato nell’aula del Consiglio comunale di Boscotrecase, nel corso di un incontro al quale hanno preso parte, oltre all’autore, anche il sindaco di Boscotrecase, Agnese Rosaria Borrelli, l’ispettore onorario ai Beni Culturali Angelandrea Casale e lo scrittore Gennaro De Crescenzo. «Non si può non rimanere affascinati da una figura così forte come quella di Antonio Cozzolino, brigante legittimista e abile guerrigliero, capace di mettere più volte nel sacco bersaglieri, fanti e carabinieri – spiega Gabriele Scarpa – “Pilone” fu un fuorilegge e non sempre le sue imprese furono nobili. Come tanti altri capibanda del tempo, l’ex scalpellino del Vesuvio si macchiò di delitti e non fu certo uno stinco di santo nei metodi di lotta impiegati contro i piemontesi, che includevano sequestri di persona, assalti a treni e carovane, richieste di pizzo. Ma non è che sull’altro versante le cose andassero meglio. Paesi rasi al suolo, donne stuprate, fucilazioni di massa e deportazioni furono la triste regola seguita dagli invasori per piegare la resistenza opposta dalle popolazioni del sud ai nuovi regnanti venuti dal nord. Gli eccidi di Casalduni, Auletta e Pondelandolfo invocano ancora giustizia. Gli stermini commessi nel campo di prigionia di Le Fenestrelle ai danni dei soldati napoletani che non vollero giurare fedeltà al nuovo re di casa Savoia sono equiparabili a quelli commessi dai nazisti nei lager della seconda guerra mondiale. Una pagina tutta da scoprire, quella del cosiddetto Risorgimento. Anche con questi fatti si è realizzata l’unità d’Italia ed è giusto, per amore di verità, riferirli nella loro interezza».