Inchiesta Tarantini, i pm di Napoli fanno ricorso: no a trasferimento a Roma

Non ci stanno i magistrati napoletani a perdere l’inchiesta sul caso Tarantini. Con un’istanza al gip Amelia Primavera e al Tribunale del Riesame di Napoli, i pm John Henry Woodcock, Francesco Curcio e Vincenzo Piscitelli chiedono l’annullamento dell’ordinanza con cui ieri lo stesso gip ha dichiarato l’incompetenza territoriale della procura napoletana a indagare sulla presunta estorsione al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi da parte di Valter Lavitola e Giampaolo Tarantini, disponendo il trasferimento degli atti a Roma. Secondo i pubblici ministeri, allo stato delle cose e vista anche l’impossibilità di ascoltare in veste di parte lesa Berlusconi, non è possibile determinare quale sia l’autorità giudiziaria competente. Nell’istanza Curcio, Piscitelli e Woodcock scrivono che «la inattendibilità e ricercata lacunosità» della memoria consegnata da Berlusconi alla procura di Napoli «emerge dalla stessa volontà della parte offesa Silvio Berlusconi di sottrarsi alla doverosa escussione testimoniale». La memoria, secondo i pm, «appare in ogni sua parte generica ed imprecisa tranne che sull’aspetto riguardante il luogo in cui i pagamenti sono avvenuti». «La condotta del presidente del Consiglio – si legge – induce a ritenere che la sua ricostruzione dei fatti non sia né completa né documentata né certamente attendibile e anzi appare deliberatamente creata in modo funzionale a procrastinare il momento di chiarimento dei fatti anche attraverso lo spostamento del processo ad altra sede».
Appare «fortemente dubitabile» che la memoria «possa, in linea di principio, costituire fonte di prova e comunque elemento probatoriamente interessante», sostengono i magistrati. Un esempio dell’inconsistenza della versione fornita da Berlusconi è data dal fatto che egli «sembra ricordare perfettamente che tutte le somme destinate a Tarantini siano state erogate e consegnate in Roma, ma stranamente non ricorda né l’importo complessivo delle dazioni né gli importi delle singole trance erogate, né menziona poi tutte le altre utilità da lui stesso destinate a Tarantini, sicuramente apprezzabili e rilevanti ai fini dell’estorsione e della determinazione del tempus e del locus delicti». In un altro passaggio dell’istanza i magistrati affermano che «l’attendibilità della memoria di Berlusconi è minata da ulteriori e diverse fonti di prova». A tale proposito hanno allegato le dichiarazioni dell’avvocato Perroni, dei rappresentanti della società Andromeda (di cui Tarantini era dipendente) e di Alfredo Pezzotti, maggiordomo del premier, nonché alcuni atti di indagini svolte dalla procura di Lecce. Il presidente del Consiglio nel suo memoriale afferma, sottolineano i pm di Napoli, di aver elargito le somme di denaro «in modo assolutamente spontaneo, liberale, venendo incontro alle necessità di un amico». Una tesi non condivisa dai pm. «Ora, a parte che le somme in questione superano di gran lunga la soglia del mero sostegno a un amico, configurandosi lo stipendio netto di 20mila euro mensili (più benefit vari, più l’una tantum di 500mila euro) come il trattamento economico di un top manager, è da osservarsi che secondo i dicta dei due collaboratori di Berlusconi (il riferimento è alle testimonianze rese dalla segretaria Marinella Brambilla e dal maggiordomo Alfredo Pezzotti, ndr) quest’ultimo non era certo entusiasta dei pagamenti che gli venivano richiesti».

Antonio Averaimo

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