Martiri Contemporanei. Morire d’inquinamento e malgoverno

Martiri per l’inmmondizia. Martiri per l’inquinamento ambientale. Martiri per il malgoverno. Uomini e donne che muoiono oggi in tante forme. Martiri diversi da chi muore per  testimoniare la verità della propria fede religiosa o da chi muore per testimoniare i valori della giustizia, della legalità contro le mafie e della dignità umana. Il risultato però  è lo stesso: morti ammazzati.

Che differenza c’è tra Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose del Pakistan ucciso dai talebani e i cittadini dell’area casertana e napoletana che muoiono per inquinamento ambientale? Il primo ha affermato nella sua difficile parte del mondo il valore della libertà religiosa, gli altri per aver testimoniato, spesso tra la complice indifferenze dei governanti locali, che la camorra distruggeva e distrugge le proprie terre perché le ha trasformate in discariche di rifiuti nocivi

Che differenza c’è tra Falcone e Borsellino, lavoratori della giustizia, don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana, ammazzati e dunque martiri per la lotta alla mafia a favore della giustizia e quel 47% in più di “morti ammazzati” dal tumore? Ci riferiamo a vite umane stroncate da violente neoplasie il cui numero è aumentato nell’ultimo ventennio nell’area napoletana e casertana (mentre sono praticamente stabili nelle altre parti d’Italia e addirittura regrediti al nord!), secondo uno studio, in corso di pubblicazione, dell’istituto  nazionale per i tumori “Pascale” di Napoli.

Che differenza c’è tra giornalisti che semplicemente raccontano quello che accade, che c’è, che vedono (in una parola “testimoni di fatti”) e cittadini che vivono in aree dove l’ambiente,  la convivenza civile, le regole e le opportunità del lavoro, sono violentate da culture e azioni di camorra? I primi muoiono “semplicemente” per essere “giornalisti – giornalisti” (secondo una felice espressione usata nel film “Fortapàsc” dedicato a Giancarlo Siani), dunque scomodi, ingombranti, guastatori di affari illeciti; i secondi “semplicemente” perché continuano a vivere (e con fatica protestano) in luoghi dove campagne, falde acquifere e  corsi d’acqua  sono stuprati, perché ridotti a discariche e dove il lavoro non è pienamente ritenuto uno strumento che eleva la dignità dell’uomo.

Tutti insieme sono vittime di verità, vittime di giustizia, vittime di fede. Normali cittadini trasformati in “martiri contemporanei”.

Una ricchezza per la società, per tutti noi, per la Chiesa. Modelli a cui tornerebbe utile ispirare le vite individuali, i comportamenti e le azioni collettive, le scelte e le opere per dare un futuro all’uomo e al suo patrimonio di beni comuni.  Strumenti per spazzare violenze, egoismi e sopraffazioni maligne dalla vita delle comunità umane. Progetti per un mondo dove le regole comuni di convivenza si fondino sul rispetto della dignità di ogni uomo, dei suoi naturali desideri, della sua fede religiosa. Ma soprattutto sulla gran voglia di costruire un “buon futuro, giusto, solidale e nella pace”. I “Martiri contemporanei” non sono martiri per caso, il loro sangue non è un colorante. Sono doni da riconoscere e da usare quotidianamente.

Antonio Irlando 

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