La Campania delle rivolte annunciata nella Pompei che crolla.

rivolteNegli scavi di Pompei che secondo una diffusa opinione pubblica mondiale sono il simbolo dell’Italia che non funziona, il governatore della Campania ha fatto una dichiarazione forte ed inquietante.

“Ci saranno disordini e rivolte – ha detto ai giornalisti che erano nell’area archeologica per sapere dai ministri Bray e Trigilia quando finiranno le distruzioni degli scavi di Pompei – per effetto di una povertà che aumenta, di problemi sociali e di una sfiducia che cresce”.

“Il punto di attacco di disordini e rivolte  – ha reso noto Caldoro – sarà qui, dove abbiamo focolai aperti che non esistono in altre città italiane”.

Il “punto di attacco, ovviamente, non è l’area archeologica di Pompei, anche se il “focolaio” dell’ammonizione Unesco è ancora caldo, cosi come il fronte dei crolli diffusi che si susseguono, ormai quotidianamente, nel monumento patrimonio dell’Umanità.

Ma perchè Caldoro ha esternato negli scavi, nel giorno in cui due Ministri erano a Pompei per capire il “se”. Il “come” e il “quando”, sarà mai possibile fermare le distruzioni e salvare Pompei? Un caso? Una scelta comunicativa simbolica? Il caldo?

Resta comunque la notizia che di per se non suona come allarme, ma come resa.

La politica non può non sapere, si direbbe in questi casi, ciò che è evidente da tempo.

Da Caldoro l’umanità dei campani disperati si aspettava e si aspetta risposte concrete ai problemi. Per tantissima gente (al sud persi 250 mila posti nel 2013) gli allarmi e la disperazione sono pratiche di vita quotidiana. Per questo, sentirne parlare da chi forse non sta facendo bene quanto di sua competenza per affrontarla e superarla, ha il motivo di una canzoncina beffarda che irrita (e non poco) e foorse legittima le rivolte.

Caldoro, però, ha un merito: in questa fase estrema non mente e non ripone la polvere sotto il tappeto. Comportamento che, al contrario, molto spesso, viene praticato quando si nega l’evidente e grave degrado degli scavi di Pompei. Una commissione di esperti internazionali dell’Unesco ha dettagliatamente spiegato in un severissimo “report” (che è uno “schiaffo” non demeritato alla reputazione della nazione Italia) che non si può continuare a trattare in modi molto spesso indecenti il patrimonio culturale che in tanti si ostinano ancora a definire, con traboccante ipocrisia, “il nostro petrolio”.

Antonio Irlando

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