Contro la crisi: riprendersi la cittadinanza

 

europa teschio
Eduardo Estrada

Proponiamo la traduzione di questo articolo, apparso sul quotidiano spagnolo “El Paìs” il 30 luglio scorso, perché vicino ai propositi di questa nuova sezione di IGV, ovvero quella di contribuire, nel nostro piccolo, a stimolare un nuovo senso di cittadinanza nei nostri giovani, incoraggiando la riflessione sul Mediterraneo e rendendoli protagonisti di un dialogo Sud-Sud e tra Sud ed Europa. L’autore, Josè Ignacio Torreblanca, scrive a nome di un’associazione, il “Círculo Cívico de Opinión”, fondata da un gruppo di professionisti ed accademici spagnoli e concepita come foro della società civile, aperto, plurale ed indipendente. L’associazione si propone di identificare, analizzare e discutere i principali problemi che affliggono la società spagnola e, nel testo che segue, l’autore si focalizza sulla ormai famigerata crisi che investe l’Europa ed il mondo intero, guardandola da una prospettiva specifica, quella dell’Europa del sud. A quella che l’autore definisce come “la periferia dell’eurozona” appartiene anche la nostra penisola, ed in particolare l’Italia del Sud, la nostra terra, al margine estremo di una zona già “europeamente” periferica. Come scrive Torreblanca, riprendersi la cittadinanza, riconquistando un ruolo attivo nei processi societari, è il primo dei dogmi da seguire per sperare in una rapida risalita economica e uscire finalmente dalla crisi.

Riprendersi la cittadinanza

Per  superare il disinteresse nei confronti della politica c’è bisogno di uscire dalla crisi in un modo che è allo stesso tempo semplice e complicato: correggendo gli errori commessi e ristabilendo gli equilibri all’interno dell’Unione Europea

La crisi ha provocato un aumento del disinteresse dei cittadini nei confronti della politica. Questo disinteresse non mette in discussione il sistema democratico, ma la capacità di uscirne in modo rapido e coeso. Superare questo disinteresse è fondamentale. Bisogna comprendere che le cause della crisi sono globali, europee e nazionali: in ciascuna di queste aree, errori e mistificazioni hanno alimentato il malessere democratico e, appunto, il disinteresse. Da un lato, la cittadinanza percepisce che, pur essendo generata nel settore finanziario, i costi della crisi si stanno propagando in maniera iniqua tra i paesi, i gruppi sociali e gli attori economici; dall’altro, prende atto che l’Unione Europea, che dall’instaurazione della democrazia è stato un alleato strategico per la realizzazione delle riforme che avrebbero aumentato il benessere e la coesione sociale, sta funzionando in maniera parziale ed antidemocratica; infine, la cittadinanza avverte chiaramente anche quanto il sistema politico spagnolo, gravemente logorato, è diventato egli stesso un elemento aggravante della crisi.

In primo luogo, cominceremo col ricordare che la crisi ha origine nei mercati finanziari. Negli ultimi due decenni la crescita dei mercati finanziari aveva dato un impulso positivo alle nostre economie, dal momento che l’elevata disponibilità di credito era stata utilizzata per finanziare consumi ed investimenti, e quindi la crescita economica e l’occupazione. Tuttavia, allo stesso tempo, l’incoscienza di molti operatori, combinata ad un controllo normativo lassista e inadeguato, ha portato ad assumere una serie di rischi che alla fine si sono rivelati fatali per il settore finanziario nel suo complesso, costringendo i governi ad intervenire e a salvare il settore attingendo alle risorse pubbliche.

Adottare misure che garantiscano un miglior funzionamento dei mercati è imprescindibile, sia dal punto di vista della logica dell’efficienza economica, sia per assicurare il mantenimento della legittimità politica e democratica. In assenza di queste misure, la globalizzazione sarà delegittimata e le società democratiche si troveranno a fronteggiare movimenti di carattere populista sempre più potenti. Per evitare l’ingovernabilità e la delegittimazione c’è bisogno di una regolamentazione che avvenga in prospettiva sia nazionale che globale. In questo contesto, l’eurozona ha un ruolo chiave da svolgere attraverso azioni che dovrebbero indicare la strada agli altri, sia all’interno che all’esterno dell’UE, visto che pretende una legittimità derivante dall’efficacia delle sue regolamentazioni e che, invece, è stata seriamente messa in discussione nell’ultimo decennio.

In secondo luogo, accertiamo che, pur non essendo all’origine della crisi, gli europei la stanno subendo gravemente, e questo è dovuto principalmente a due carenze. La prima è di carattere tecnico, dal momento che, sin dall’inizio della crisi, l’Unione Europea non disponeva di strumenti adeguati per affrontarla: non solo non aveva pronte delle contromisure per evitare che il debito da privato diventasse pubblico e viceversa, ma non aveva a sua portata neanche meccanismi di smaltimento che avrebbero permesso di intervenire nei mercati in debito allentando così la pressione sulle finanze degli stati membri. La seconda è di carattere politico, ed è situata nella manifesta e fondamentale discrepanza fra paesi creditori e debitori riguardo le origini della crisi e, quindi, riguardo le misure da adottare per superarla. La confluenza delle due lacune, tecnica e politica, ha portato l’UE ad adottare un modello decisionale caratterizzato da “troppo poco”, “troppo tardi” e “troppo diviso”.

L’uscita dalla crisi dell’euro richiede una maggiore centralizzazione dell’autorità e un incisivo miglioramento della democrazia nell’ambito europeo: la sola combinazione di austerità e riforme strutturali non ci farà uscire dalla crisi. Per affrontare il processo di risalita è necessario coinvolgere la cittadinanza, soprattutto se si vuole che questa ritorni ad aver fiducia nella UE. Affinché l’Europa riacquisti legittimità è necessario adottare nuove misure soprattutto in due ambiti: nei risultati e nelle procedure. Nel primo ambito, è indispensabile un cambiamento delle attuali e mal funzionanti politiche, correggendole e modificandole. Ciò richiede che Berlino riconosca che la sola traslazione del modello di regolamentazione tedesco, ovvero il modello adottato e generalmente applicato, non solo non funziona, ma è in pratica politicamente insostenibile. Il secondo ambito riguarda le istituzioni ed i procedimenti da adottare. La democrazia nazionale deve essere integrata in Europa con nuove istituzioni e nuove forme di legittimazione. Oggi, la legittimità democratica dell’Unione Europea è solo indiretta, in quanto il parlamento europeo non ha una identità sufficientemente democratica, né elegge realmente un governo. Bisogna quindi rafforzare la capacità di azione delle istituzioni europee, la Commissione e il Parlamento, che rappresentano l’interesse generale europeo, e mettere fine agli eccessi ed alle asimmetrie di potere del Consiglio, dell’Eurogruppo, della BCE (Banca Centrale Europea) e di Berlino.

In terzo luogo, constatiamo come pur essendo i problemi di progettazione e amministrazione dell’euro uguali per tutti gli stati membri, la gravità della crisi è direttamente proporzionale alla qualità della democrazia e delle istituzioni nazionali. In Spagna, come in altri paesi dell’Europa del sud, la crisi è stata aggravata dal cattivo funzionamento delle principali istituzioni: governi, partiti politici, istituzioni, sistemi di regolamentazione, di vigilanza e di controllo, parlamenti, tribunali e governi regionali. Queste debolezze interne non solo peggiorano la nostra crisi, ma rendono ancor più difficile la risalita.

La Spagna, trascina inoltre dietro di sé un deficit di presenza e attività molto singolare nell’ambito europeo. Oggi, questa mancanza di integrazione europea, impedisce di far capire con sufficiente chiarezza ad alcuni dei nostri soci nella UE che l’uscita dalla crisi richiede un necessario risanamento del bilancio e delle riforme strutturali che, a loro volta, richiedono il supporto di una politica europea e un rinnovo delle istituzioni dell’eurozona. Per superare il dramma della disoccupazione spagnola, che alimenta il disinteresse politico, c’è bisogno di un cambiamento completo nella politica economica e nel progetto istituzionale dell’Unione europea, un cambiamento che la Spagna, oggi come oggi, non è in grado di raggiungere a causa della sua debolezza politica in Europa.

Il risultato di queste debolezze nazionali segna un cambiamento storico nella posizione della Spagna all’interno dell’Unione europea e nella percezione che gli spagnoli hanno di essa. La UE ha smesso di sembrare un facilitatore delle riforme, una soluzione ai problemi spagnoli, e si è convertita in un problema che richiede esso stesso una soluzione. Da una orgogliosa europeizzazione siamo passati ad un senso di disparità economica e sottomissione politica. Da partner europei e soggetti attivi nell’integrazione europea, siamo passati ad essere oggetti di diffidenza, e di conseguenza, siamo finiti per essere soggetti a una stretta sorveglianza e condizionalità. Per le ragioni sopra descritte, gli spagnoli si sentono ogni volta meno identificati con l’Europa e sempre più come soggetti senza capacità decisionali. Per questo motivo la Spagna deve combattere per ripristinare l’equilibrio all’interno all’UE, sia in termini economici, in cui si assiste ad una pericolosa distinzione tra centro e periferia, creditori e debitori, sia negli aspetti istituzionali, dato che il potere si sta spostando dalla Commissione e dal Parlamento europeo al Consiglio, alla BCE ed a Berlino.

In passato, molti in Spagna hanno pensato che rafforzare le autorità europee e, allo stesso tempo, rafforzare le istituzioni nazionali erano pratiche contraddittorie. Tuttavia, questa crisi dimostra il contrario: che l’Europa é tanto forte o tanto debole, sia in termini economici che di legittimità democratica, quanto lo sono i suoi stati membri. Se vogliamo sbarrare il cammino al disinteresse è necessario che la cittadinanza recuperi la sua capacità d’azione ed il controllo democratico nei tre ambiti: in quello nazionale, riformando e migliorando le nostre istituzioni; in quello europeo, completando l’unione monetaria e rafforzando le istituzioni del governo europeo; in quello globale, meglio regolando il settore finanziario e quello fiscale. Uscire da questa crisi è così semplice, eppure così complicato, come correggere i nostri errori e ripercorrere la strada che ci ha portato fin qui.

Recuperar a la ciudadanía

Superar la desafección hacia la política requiere salir de la crisis de una manera a la vez simple y complicada: corrigiendo los errores cometidos y restableciendo los equilibrios en la UE

La crisis ha provocado en la ciudadanía una extensión de la desafección hacia la política. Esa desafección no cuestiona el sistema democrático, pero sí la capacidad de lograr que su salida se produzca de una manera rápida y cohesionada. Superar esta desafección es fundamental. Para ello es preciso entender que las causas de la crisis son tanto globales como europeas y nacionales: en cada uno de esos ámbitos, los errores y omisiones alimentan el malestar democrático y la desafección ciudadana. Por un lado, la ciudadanía percibe que, a pesar de haberse generado en el sector financiero, los costes de la crisis se están repartiendo de forma inequitativa entre países, grupos sociales y actores económicos. Por otro, observa que la Unión Europea, que desde la instauración de la democracia ha sido un aliado estratégico a la hora de llevar a cabo reformas que incrementaran el bienestar y la cohesión social, está funcionando de forma sesgada y poco democrática. Por último, la ciudadanía también aprecia nítidamente hasta qué punto el sistema político español, seriamente dañado, se ha convertido en un elemento agravante de la crisis.

En primer lugar, comencemos por recordar que la crisis tiene su origen en los mercados financieros. Su crecimiento en estas dos últimas décadas ha tenido consecuencias positivas, ya que la alta disponibilidad de crédito ha servido para financiar el consumo e inversión y, por tanto, el crecimiento y el empleo en nuestras economías. Sin embargo, al mismo tiempo, la imprudencia de muchos operadores, combinada con la laxitud regulatoria y una insuficiente supervisión, propició asumir una serie de riesgos que a la postre se demostraron fatales para el sector financiero en su conjunto, obligando a los Estados a intervenir con recursos públicos para salvar el sector.

Adoptar medidas que garanticen un mejor funcionamiento de los mercados es imprescindible tanto desde el punto de vista de la lógica de la eficiencia económica como de la legitimidad política y democrática. En ausencia de esas medidas, la globalización se deslegitimará y las sociedades democráticas tendrán que hacer frente a movimientos de carácter populista cada vez más poderosos. Evitar la ingobernabilidad y la deslegitimación requiere pues una mejor regulación, tanto en casa como en el ámbito global. Aquí la eurozona tiene un importantísimo papel que jugar pues mediante sus acciones debe señalar el camino a otros, tanto dentro como fuera de la UE, a la vez que reclamar para sí la legitimidad derivada de la eficacia regulatoria, seriamente puesta en entredicho durante la última década.

En segundo lugar, aceptemos que, aun no estando en el origen de la crisis, los europeos la están sufriendo de una forma agravada debido a dos carencias. La primera es de carácter técnico, pues al comienzo de la crisis la UE carecía de los instrumentos adecuados para tratar con ella: ni disponía de cortafuegos que pudieran evitar que las deudas del sector privado saltaran al público y viceversa, ni tenía a su alcance mecanismos que le permitieran intervenir en los mercados de deuda y aliviar la presión sobre las finanzas de los Estados miembros. La segunda ha sido de carácter político, al manifestarse una discrepancia fundamental entre países acreedores y deudores respecto a los orígenes de la crisis y, por tanto, respecto a las medidas a adoptar para superarla. La confluencia de ambas carencias, técnicas y políticas, ha llevado a la UE a adoptar un patrón de toma de decisiones caracterizado por el “demasiado poco”, “demasiado tarde” y “demasiado divididos”.

La salida de la crisis del euro requiere una centralización mayor de la autoridad y una profundización de la democracia en el ámbito europeo: la sola combinación de austeridad y reformas estructurales no nos sacará de la crisis. Apoyar ese proceso, involucrando a su vez a la ciudadanía en él, es esencial si se quiere que la ciudadanía vuelva a confiar en la UE. Que Europa recupere la legitimidad requiere medidas en dos ámbitos: en el de los resultados y en el de los procedimientos. En el primero, resulta imperativo cambiar las políticas actuales, que no están funcionando, por otro tipo de políticas. Ello requiere que Berlín reconozca que la traslación sin más al resto de Europa del modelo de ajuste que Alemania se aplicó a sí misma en la década pasada no solo no está funcionando en la práctica, sino que es insostenible políticamente. Lo segundo son las instituciones y los procedimientos. La democracia nacional tiene que ser completada en el ámbito europeo con nuevas instituciones y nuevas formas de legitimación. Hoy, la legitimación democrática de la UE es solo indirecta, pues el Parlamento Europeo no tiene suficiente entidad democrática ni elige un Gobierno de verdad. Debemos, pues, reforzar la capacidad de actuación de las instituciones europeas, Comisión y Parlamento, que representan el interés general europeo, poniendo fin a los excesos y asimetrías de poder del Consejo, el Eurogrupo, el BCE o Berlín.

En tercer lugar, asumamos que, siendo los problemas de diseño y gobernanza del euro iguales para todos los Estados miembros, la gravedad de la crisis está en relación directa con la calidad de la democracia y de las instituciones nacionales. En España, como en los otros países del sur de Europa, la crisis se ha visto agravada por el mal funcionamiento de instituciones clave: Gobiernos, partidos políticos, instituciones reguladoras, supervisoras y de control, parlamentos, tribunales de justicia y Gobiernos regionales. Estas debilidades internas no solo agravan nuestra crisis, sino que hacen más difícil la salida de ella.

España arrastra, además, un déficit de presencia y actuación muy singular en el ámbito europeo. Esa falta de proyección europea le impide hoy hacer entender con suficiente claridad a algunos de nuestros socios de la UE que la salida de la crisis tiene como condición necesaria la consolidación fiscal y las reformas estructurales, pero que requiere a su vez de políticas europeas de apoyo y de un renovado diseño de las instituciones de la eurozona. El drama del desempleo español, que alimenta la desafección política, requiere pues todo un cambio en la política económica y en el diseño institucional de la UE, un cambio que España no está hoy por hoy en condiciones de lograr debido a su debilidad política en Europa.

El resultado de estas debilidades nacionales es un cambio histórico en la posición de España dentro de la UE y la percepción que de la UE tienen los españoles. La UE ha dejado de aparecer como un facilitador de las reformas, como una solución al problema español, para convertirse en un problema en sí mismo, que también requiere solución. De la europeización orgullosa de España hemos pasado a una sensación de divergencia económica y de sometimiento político. De socios europeos y sujetos activos de la integración europea hemos pasado a objetos de la desconfianza y, en consecuencia, a estar sujetos a una estricta vigilancia y condicionalidad. Por las razones descritas anteriormente, los españoles se sienten cada vez menos identificados con Europa y más súbditos sin capacidad de decisión. Por esa razón, España debe luchar por restaurar los equilibrios dentro de la UE, tanto en el plano económico, donde estamos asistiendo a una peligrosísima diferenciación entre centro y periferia, acreedores y deudores, como en los aspectos institucionales, ya que el poder se ha desplazado desde la Comisión y el Parlamento hasta el Consejo, el BCE y Berlín.

En el pasado, muchos en España han pensado que reforzar la gobernanza europea y reforzar las instituciones nacionales eran tareas contradictorias. Sin embargo esta crisis muestra lo contrario: que Europa es tan fuerte o tan débil, tanto en términos de gobierno económico cuanto de legitimidad democrática, como lo son sus Estados. Si queremos cerrar el paso a la desafección, es necesario que la ciudadanía recupere la capacidad de actuación y el control democrático en los tres ámbitos: en el nacional, reformando y mejorando nuestras instituciones; en el europeo; completando la unión monetaria y reforzando las instituciones de gobierno europeas; y en el global, regulando mejor el sector financiero y la fiscalidad. Salir de esta crisis es tan simple, y a la vez tan complicado, como corregir nuestros errores y desandar el camino que nos trajo aquí.

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