Prevista per sabato 14 dicembre una visita speciale al complesso dell’Annunziata, luogo di memoria storica tra i più rappresentativi della città di Napoli.
L’istituzione dell’Annunziata, dedicata alla cura dell’infanzia abbandonata, fu fondata dalla regina Sancha d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, che la dotò della veste giuridica di Real Casa dell’Annunziata.
Il tratto più rappresentativo del complesso è, senza dubbio, caratterizzato dalla ruota degli esposti, il pertugio attraverso il quale venivano introdotti nella ruota gli “esposti”, cioè i neonati che le madri abbandonavano, per miseria o perché illegittimi, e da cui deriva il diffuso cognome Esposito, solitamente dato ai trovatelli e comunissimo nel napoletano.
Gli ospiti dell’istituzione venivano chiamati “figli della Madonna”, “figli d’a Nunziata” o “figli d’Anunziata”.
I bambini abbandonati venivano introdotti in una specie di tamburo di legno di forma cilindrica e raccolti all’interno da balie pronte a curarli ed accudirli. All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati”.
Esistono, tuttora, specifici registri nei quali si annotavano il giorno e l’ora di ingresso, l’età e lineamenti del piccolo, e gli eventuali segni distintivi, come abiti, biglietti o piccole doti, con i quali era stato consegnato. A volte si trattava di una parte di una moneta o di un cartiglio, grazie ai quali chi lo lasciava pensava di poterlo riconoscere e riprendere in tempi successivi, di miglior fortuna, anche se più spesso i piccoli vi giungevano appena coperti.
La visita, curata dagli storici dell’arte dell’Associazione “Cultura Felix”, comprenderà la chiesa, con le eleganti forme rinascimentali e barocche, la ruota degli esposti con i locali per le prime cure dei bimbi abbandonati, e la chiesa sotterranea ideata dal Vanvitelli, conosciuta con l’appellativo di “succorpo”.
Ancora oggi non è possibile avvicinarsi a questi ambienti, ormai ripristinati e restaurati, senza avvertire un senso di malinconia per tutta l’umana sofferenza che vi è passata, e, contemporaneamente, una sorta di riconoscenza per le tante, piccole vite salvate dall’istituzione. E’, insomma, la restituzione di un luogo, con il suo ingombrante carico di tragedie, miserie e umana pietà, ma anche e soprattutto un simbolo, triste, ma vivo, della nostra città.
Agnese Serrapica