Rosaria De Cicco e le Donne. Al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli

Rosaria-de-cicco-735x400Una donna piccola. Piena di luce. Di forza.
Energia pura.
Ti regala coraggio.
Rosaria De Cicco e’ fisica e al tempo spirituale.
Te ne accorgi dal saluto. Molto di piú di un semplice scambio di cortesie. Di un preambolo di buona educazione.
E’ una stretta di mano. Calda. È un bacio sulla guancia.
Così mi accoglie. Nel foyer del Nuovo Teatro Sancarluccio.
Dopo una giornata di prove. E le sue “donne” portate in scena.
Almost famous – Ovvero Io e le donne( regia di Rosaria De Cicco e Vincenzo Coppola; in programma dal 5 all’ 8 marzo) è il suo “one woman show”. A episodi.

Con la sua voce più donne parlano. Con cambi di abiti e scarpe con o senza tacchi sul piccolo palco.
Sulle note di Mariano Bellopede.
È una trasposizione di pagine di libri e di cronache.
“Era stato quel cazzotto di Lucio a spezzarmi la schiena…Aveva il controllo della mia carne, ma io gli negavo l’accesso alla mia dignità. Ma lui voleva anche quella”.
Così inizia il primo monologo ( tratto da “Caterina scappa pá di Annamaria Settembre) a cui seguono altri di Massimiliano Virgilio, Pasquale Ferro, Annibale Ruccello, Maurizio De Giovanni.
Mi invita a sedermi sulle sedie colorate.
È stanca. Ma non si risparmia.
C’ è una dichiarazione di resa. Che tocca le corde del cuore. E t’accorgi già dalle sue prime parole che c’è in lei un’urgenza creativa.
Intorno ci sono gli amici che l’aspettano. Ma io
accendo lo stesso il registratore. Voglio sapere Rosaria cosa pensa davvero che sia l’ indipendenza per una donna.
Oltre il palco. Su cui l’ha affermata con forza.
Con una nota di apprensione, che s’intuisce del tutto sincera, mi risponde :
“L’indipendenza è scoprire dentro di sé le capacità che tutti gli altri intorno cercano di tenere nascosta.
L ‘indipendenza è rifiutare l’attaccamento ad un uomo, ai ricordi. Anche alla felicità passata.
Cose che ti impediscono la libertà.”
Con una voce che viene dal profondo, che l’illumina gli occhi, continua: ” Siamo veramente liberi, quando la libertà la troviamo dentro di noi. Non ci sono circostanze esterne.

Le donne che si liberano, in un modo o in un altro, decidono”.
Le chiedo, noncurante dell’ora e del freddo che arriva dalla porta d’ingresso spalancata per la gente col vizio delle sigarette, come è che le “sue donne” poi decidono di diventare libere.
Ha un cappellino di lana grigio. E tutto intorno fiori ricamati. E sotto due grandi occhi. Generosi. E mi dice:
“Decide Caterina, la protagonista del primo monologo. Decide con i libri. Con la cultura.
Decide l’attrice delle “Storie che finiscono” di Maurizio de Giovanni. Con la vanità che le permette di liberarsi. Decide Maria di Carmela. Nata a Nazareth, vicino a Caivano. Di Annibale Ruccello. Liberandosi di se stessa. Passando da un personaggio ad un altro”
Mentre mi parla, mi ricordo le parole della Melandri che per l’8 marzo invita i lettori a lasciar le mimose sugli alberi. Ché in casa, dopo un pó puzzano.

Le chiedo invece qual è oggi per lei il regalo più bello che una donna possa ricevere?
” Il regalo che io vorrei che ogni donna si facesse è assumersi la responsabilità della propria felicità. Senza appoggiarsi. Condividendo con l’altro. Non delegando la propria vita”
Mi ripete il passo di Stella, una sua eroina, ” La pratica amorosa è una delle poche cose per cui vale la pena vivere. La donna, però ancora confonde Amore e dipendenza.
Colpa di un’educazione sbagliata. Di una regressione culturale che ha cancellato a colpi di spugna gli ultimi successi del secolo scorso”
E mi fa cenno alle leggi che hanno accompagnato l’emancipazione femminile dagli anni ’60 agli anni ’80.
Le rivolgo l’ultima domanda. Il teatro sta chiudendo.
“Quale fiore regaleresti ad una donna?” ” La cultura” mi risponde decisa. “Solo con la cultura la donna può liberarsi dai mostri. Di dentro. E di fuori”
” La cultura regala libertà”.
Io non ho fretta. L’ascolterei per ore.
Non mi è bastata sul palco.
È viva. Continuamente in evoluzione. Non fa pause. È intensa.
Ma è tardi. Mi saluta di nuovo col bacio.
Ce ne dobbiamo andare.
“Regaliamoci la libertà”.
Le sue parole mi accompagnano. E me le sono portate pure nel sonno.

Ornella Scannapieco

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