“Luigi D’Alessandro deve restare al regime del 41bis perchè dal carcere potrebbe tornare a reggere il clan”. E’ la sintesi di un decreto della Corte di Cassazione che nelle ultime ore ha rigettato la richiesta inoltrata dai leali di “Luigino”, figlio di Michele D’Alessandro il boss defunto e fondatore della cosca di Scanzano egemone nella città di Castellammare di Stabia.
Luigi D’Alessandro sta scontando una pena a 30 anni di reclusione per associazione camorristica, asociazione finalizzata alle estorsioni ed al traffico di sostanze stupefacenti. L’anno scorso, nel mese di aprile, il figlio del boss era stato
ristretto al regime del carcere duro, al 41bis, dopo un provvedimento del Tribunale di Sorveglianza con cui era stata evidenziata la “pericolosità” di Luigi D’Alessandro. “Senza il 41bis, riuscirebbe ad avere colloqui e contatti diretti con affiliati e
parenti al clan tutt’ora attivo a Castellammare e quindi ad impartire ordine e organizzare gli affari illeciti”, questa la motivazione dei giudici allegata all’opposizione alla richiesta dei legali di Luigi D’Alessandro.
I difensori del figlio del boss Michele avevano richiesto la revoca del provvedimento restrittivo del 41bis giustificandola con “l’incompatibilità” al carcere duro per via “della sua sindrome psichiatrica”, cosa che non gli permetterebbe di restare in isolamento al 41bis.
Motivazione che non ha fatto retrocedere di un passo i giudizi che hanno rigettato la richiesta.