A conclusione del sinodo dei vescovi sulla famiglia ne esce una Chiesa né custode arcigna di una dottrina lontana dalla vita reale né troppo sbilanciata al mondo mondano di oggi; una Chiesa attenta alle richieste di una moltitudine di separati e divorziati che chiedono accoglienza. “Accogliere, ovvero un essere disponibili, un farsi incontro per comprendere ed accompagnare nel somministrare la terapia giusta capace di guarire e fasciare le ferite”. A parlare è Antonio Piccolo, separato fedele, referente provinciale dell’associazione Famiglie separate cristiane e componente dell’Ufficio Famiglia della diocesi di Napoli.
In un contesto socio-culturale, dove la crisi della fede, la secolarizzazione e l’individualismo esasperato diventano costanti di vita, si pone oggi la sfida pastorale tesa all’accoglienza delle persone che hanno sperimentato la fine del matrimonio.
Sì, la pastorale – ci dice Piccolo – è un esercizio che la Chiesa è chiamata a svolgere quotidianamente sia con la parola del Vangelo che salva ed illumina, sia con la misericordia che risana e consola.
Quale misericordia, quale perdono?
Misericordia non è il facile e compiaciuto avere pena dell’altrui dolore, ma l’unirsi all’altro per cambiarne le condizione di sofferenza, per parafrasare il filosofo e politico Aldo Masullo. Essa è il volto di Dio che si china su chi è pestato dalla vita, su chi è in crisi, su chi soffre. E’ la medicina che guarisce le situazioni difficili.
Troppe situazioni – interrompiamo il nostro interlocutore – 360.000 separazioni all’anno, di cui il 70% dopo un matrimonio religioso durato mediamente solo nove anni. Un dramma?
Certo! Anche se i matrimoni religiosi restano i più longevi nel tempo, se è vero che quelli civili durano mediamente sette anni e le convivenze si spezzano circa al quarto anno. Bisogna rivedere la formazione dei nubendi e avviare una preparazione per i fidanzati. Bisogna creare gruppi famiglia in ogni parrocchia, perché nel gruppo ci si sostiene a vicenda. Bisogna rivedere il ruolo della mediazione familiare, intesa oggi solo ad accompagnare i coniugi solo ad una separazione indolore, Bisogna invece provare a ricostruire un rapporto lesionato. Bisogna puntare alla riconciliazione e al perdono reciproco.
Come?
Bisogna realizzare un call center diocesano per le coppie in crisi. Un centro raccolta di sos con una unità di ascolto di prima accoglienza, pronta a valutare se la crisi è dovuta ad un disagio relazionale, a problemi economici, ad un “problema di letto”. Prendersi cura della coppia per sanarne le ferite prima della cancrena separazione. Serve un centro specializzato diocesano, vera e propria porta di speranza. Questo è prevenzione, cura, sostegno e accompagnamento della coppia in crisi. Dove accompagnare sta per correggere e superare. Bisogna anche lavorare a fianco dei conviventi affinché ad un fallimento non ne segua un altro. Ciò significa anche prevenirne le difficoltà future quale il legame sempre più attuale fra separazione e forme di povertà. Ricordo che gli ultimi dati della Caritas nazionale ci dicono che chi si rivolge ai centri di ascolto sono per il 55% separati e/o divorziati.
Cosa serve per fare ciò?
Servono laici e consacrati consapevoli del tesoro del matrimonio. Bisogna uscire dalla logica del rigore e del lassismo e diventare persone competenti del tesoro del matrimonio, Bisogna uscire dalla logica del rigore o del lassismo e diventare persone competenti delle dinamiche coniugali da affiancare ai professionisti. Nella Gaudium et spes, di cui quest’anno ricorre il cinquantennale si legge: «La famiglia metterà con generosità in comune le proprie ricchezze spirituali». Ma io penso ad un’accoglienza da parte di chi ha vissuto al stessa esperienza, essa è certamente più autentica, più partecipata. Ma in entrambi i casi c’è bisogno di una preparazione.
Una formazione per chi vuole mettersi in gioco rivolta a coloro che intendono essere missionari?
Sì, l’Ufficio Famiglia della diocesi ha in programma, con decorrenza a gennaio, un corso formativo. Quattro incontri tenuti dal monsignor Lucio Lemmo, vescovo ausiliare di Napoli; don Alessandro Mazzoni, direttore dell’Ufficio Famiglia della diocesi; il professor Antonio Gentile, psicologo; il dott. Mariano Iavarone, sociologo e mediatore familiare. Si può chiamare in ufficio il mercoledì ed il giovedì allo 081/5574226 dalle ore 10 alle ore 13 e chiedere tutte le notizie utili.
Via penitenziale per i divorziati risposati, quali modalità per realizzarla?
Un cammino di penitenza, conversione, discernimento del singolo, da tenersi in ogni decanato, che “mettendo al centro la persona e la propria coscienza” – per citare la Familiaris Consortio – interroghi se stesso e la società del perché del fallimento, ma sia anche capace di sentire un suono profondo: la interconnessione e l’amore di Dio. Un cammino dove non si banalizzi l’impegno alla carità, dimensione essenziale della formazione cristiana. Tutto ciò deve essere volto all’integrazione totale di questi “irregolari”.
Ma nell’immediato cosa si può fare?
Le comunità parrocchiali devono aprirsi predisponendo quesi gesti che valorizzino l’accoglienza. Penso, per esempio, ai divorziati nel coro parrocchiale, nel portare i doni all’altare, nel predisporre la preghiera dei fedeli.
E la comunione eucaristica, interrompiamo noi?
Il primo corpo di Cristo, di cui si ha bisogno, è il calore umano della comunità. Non sarà una decisione calata dall’alto a realizzare la fraternità con chi chiede perdono.
Chiedere perdono. Dio si serve anche del male, degli errori e del peccato per condurre gli uomini a sé. Il perdono è legato al cambiamento?
Pentitevi e cambiate vita è una costante del Vangelo. La remissione dei peccati è sempre legata al pentimento. Ho sempre pensato alla confessione come strategia di cambiamento. Certo, ci convertiamo ogni giorno, per citare Bruno Forte. Perdonare o essere perdonati risana le relazioni spezzate e apre al futuro, così don Ignazio Schinella, moralista.
Cambiamento, laddove ci sono figli di una seconda relazione, finirebbe per essere un nuovo dramma?
Ogni caso è una storia a sé e la via della nullità, pur paventata dal Papa può non riguardare tutti i matrimoni e di certo non si può trasformare una situazione irregolare in regolare. L’amore genera amore e diventa lievito e spinge sempre alla conversione. Chiedere a mamma Chiesa di sanare la propria situazione è un esercizio che va svolto con la meditazione del Vangelo, che se accolto promuove il pentimento ma anche con la preghiera.
Una preghiera comunitaria promossa dall’Ufficio Diocesano per la pastorale familiare è in programma domenica 29 novembre alle ore 18 all’ipogeo della basilica a Capodimonte.
Sì, un incontro comunitario di preghiera voluto dal nostro arcivescovo Sepe all’inizio del periodo di Avvento, perché la preghiera è il respiro dell’anima. E’ nel silenzio della preghiera che si trovano le risposte ai tanti perché. Un legame circolare con il Padre di quanti soffrono per il proprio insuccesso nella vita matrimoniale che nulla toglie all’obiettivo di fondo: sono amato, posso amare.
Ogni realtà presente è transitoria rispetto alle attese umane, ma proprio per questo è necessario nei fatti rendere giustizia alla frase del Vangelo “Beati quelli che piangono perché saranno consolati”.
Giulia Sorrentino e Michele Di Matteo