Il 17 aprile gli italiani NON saranno chiamati a pronunciarsi sullo “stop alle trivellazioni”. Magari dipendessero da una X, dalla nostra X, decisioni del genere. Non è che con la vittoria del Sì al referendum in Italia non sarà più possibile trivellare nelle acque territoriali, a 22 km dalla costa, per cercare petrolio e gas.
Ci viene chiesto se intendiamo interrompere l’attività estrattiva dei giacimenti in attività alla scadenza delle concessioni, nonostante ci sia ancora da estrarre nei suoli marini, o se lasciar le cose come stanno (e questa soluzione ci fa scorrere acquolina da tutte le parti) e permettere che le società estrattive sradichino tutto fino a quando ci sia del succulento, ottenendo quindi proroghe sulle concessioni scadute.
In ballo ci sono 21 piattaforme di gas su 106 esistenti; le 21 sono quelle che trivellano entro le 12 miglia dalla costa, le altre sono pur sempre nelle nostre acque ma lontane anche solo di un metro dal limite massimo e fanno quindi ciò che gli pare, estraggono, trivellano, estirpano; delle sorti del referendum, queste 85 se ne sbattono la testa a martello, insomma.
Il referendum è nato, per la carità, con buone intenzioni ambientalistiche ma dovrebbe essere accompagnato da un iter legislativo che possa portare ad una rivisitazione in chiave green delle politiche energetiche nazionali. Ma ricordiamo dove viviamo: siamo in Italia e, tenendo presente la gestazione della legge sulle unioni civili, tagliata e incollata in ogni suo articolo, ci ritroveremmo di fronte, molto probabilmente, alla proposta di una normativa funzionale e ambientalistica terminante con la diffusione, casa per casa, dell’arbre magique profumato di “petrolio alla stevia”.
Chiudere gli stabilimenti, ipotizzando la vittoria del Sì, non ridurrà la nostra dipendenza dal gas e dal petrolio, semmai aumenterà il bisogno di ricorrere a mercati esteri. Un terzo dell’energia elettrica nel nostro Stato viene prodotto bruciando gas naturale. Gas che nel 12 % circa produciamo in Italia, al 80% estraendolo in mare. Ancora più bassa è la produzione “made in Italy” del petrolio. Non abbiamo alternative atte a sostituire gas e petrolio ma auspichiamo a politiche green, purché ad essere trivellati siano i mari e i suoli altrui. Trivellate, scassate, piantate centrali nucleari che noi non vogliamo ché siamo green ma che producono energie che a noi servono e che quindi compriamo e compreremo. Della serie “meglio a tte che a uno e nuje”.
Poi ci si appella all’inquinamento: “sostanze chimiche pericolose, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri viventi, si ritrovano abitualmente nei sedimenti e nelle cozze che vivono vicino le piattaforme offshore in Adriatico”, così riporta il rapporto Trivelle Fuorilegge di Greenpeace. Ma una volta acquistati all’estero gas e petrolio, questi ci arriverebbero come? Col teletrasporto? Sono dotati del dono della ubiquità? Arrivano a noi mediante gasdotti e navi metaniere o petroliere, non alimentate dall’acqua di Lourdes e anche più pericolose di una piattaforma. Si è calcolato che grazie alla produzione nazionale, negli ultimi 30 anni, si è evitato il transito nei nostri mari di una petroliera di dimensioni interessanti al giorno.
Ovvio, il referendum serve ad avviare in ognuno di noi una sensibilizzazione sui temi ambientalistici e deve spronare il Governo ad attivarsi sull’assunzione di politiche energetiche che riducano l’uso di idrocarburi a vantaggio di consumi ecosostenibili ma ad oggi è interessante prendere una posizione in base alle circostanze esistenti e cercando di antivedere le conseguenze delle nostre scelte.
E che cosa può preparare l’elettore al voto? Cosa è fondamentale affinché io votante abbia un quadro chiaro sulla situazione e dia il mio voto non in base a pulsioni momentanee, a tweet alla De Magistris “A Napoli cozze e vongole (e datteri abusivi)*: NO TRIVELLE. Il nostro petrolio: giovani (senza lavoro)*, cultura, monumenti (da potenziare)*, paesaggio, mare (in molti luoghi da ripulire)*. Non ci avrete mai (non mi piaci, grazie)*”.
E’ necessaria l’informazione, la Campania, nello specifico insieme ad altre nove regioni, ha voluto fortemente questo referendum, ma perché allora non si attiva? Perché a 15 giorni dal voto non allestisce stand, padiglioni informativi, non manda sulle reti locali, tra il Napoli calcio e il Napoli calcio spruzzate di “Votate così perché”.
Certo, doveva essere una chiamata al voto per le amministrative, per le comunali, per le provinciali; volantini a go go, tipografie con picchi di introiti, stand nei luoghi più impensati, comizi in piazza, al circolo e in tv, chiamate a casa con frequenza simile a quella dei call center degli operatori telefonici.
Di quelle a cui per l’abbondanza, chiunque si sia, in qualunque ora del giorno, occorre solo dire “sono la signora delle pulizie, la padrona non è in casa”.
Questo referendum nessuno se lo fila, noi, voi, gli altri. Nessuno ne parla, a partire dai servizi di informazione nazionali più interessati a bavagli, ai desnudi, a Belen, belìn, gravidanze in Parlamento e saluti/abbracci del Presidente (americano).
Che i nostri giornali, telegiornali, talk show dibattano su Trump in Casa Bianca e della tisanoreica all’Isola degli sfigati è preoccupante; quando basterebbero sette minuti in ogni programma televisivo, un piedone in ogni quotidiano e qualche comunicazione istituzionale in più tra il lancio del nuovo S7 e del nuovo spray anticellulardite a sollecitare almeno la curiosità di molti.
Ci vediamo alle urne, io sarò quella che conterà gli astenuti. Non sono brava in matematica.
*= inseriti da me medesima e modestamente condivisi.
Anna Di Nola