Castellammare, delitto Tommasino: trent’anni di galera per Romano e Cavaliere

_tommasino_cmare_staCatello Romano e Renato Cavaliere, collaboratore di giustizia, sono stati condannati a trent’anni di carcere per aver ucciso il consigliere comunale di Castellammare Gino Tommasino. Il verdetto è stato emesso dalla Corte d’Appello di Napoli e si riferisce al nuovo processo di secondo grado dopo l’annullamento degli ergastoli dalla Cassazione.

Renato Cavaliere rappresentava uno degli uomini più importanti del palcoscenico criminale stabiese essendo uno dei reggenti del clan D’Alessandro come ha ammesso durante il processo. L’accusa aveva chiesto per lui trent’anni perchè aveva deciso di collaborare con la giustizia mentre per Romano era stato chiesto l’ergastolo che però non è stato accettato.

Tuttavia, per entrambi è stato confermato l’aggravante del contesto mafioso. Gli altri due killer, Salvatore Belviso e Raffaele Polito, entrambi collaboratori di giustizia, sono stati condannati a 18 e 12 anni ciascuno.

Se precedentemente non si riusciva ancora a comprendere la reale motivazione dell’uccisione di Gino Tommasino, durante il nuovo processo d’appello tutto è stato spiegato nei minimi dettagli da Cavaliere: il consigliere stava rovinando i piani del clan D’Alessandro. Un delitto scaturito da motivazioni di stampo economico e che è stato progettato dallo stesso Cavaliere.

Infatti, come ha spiegato l’uomo durante il processo in video conferenza, essendo il reggente del clan poteva benissimo prendere tutte le decisioni e in particolar modo eliminare chiunque rovinasse gli affari del clan di Scanzano (questo potere gli era stato dato dall’ex boss Vincenzo D’Alessandro).

“Chiedo scusa alla famiglia per quello che ho fatto. Ho sbagliato e me ne sono reso conto. Hanno il diritto di sapere perchè ho deciso di uccidere Tommasino” così ha spiegato, a conclusione del processo, Renato Cavaliere ad ormai sette anni da quel fatidico 3 febbraio 2009 quando una raffica di colpi uccisero il consigliere ma salvarono miracolosamente suo figlio che uscì illeso dall’agguato.

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