Monti Lattari, “Tabula Rasa”: piangono i narcos. Storia di un’erba venduta a peso d’oro

1413

tab4“Ma come avete fatto? Complimenti comunque…”. La telefonata, anonima, giunge alla stazione dei carabinieri di Gragnano. Da poche ore i militari, stremati, sono tornati dopo oltre dieci ore passate tra i boschi impervi dei monti Lattari. Sul web comincia già a circolare la notizia: si è appena conclusa una maxi operazione antidroga, l’ennesima dell’estate 2016. Carabinieri e forestale hanno distrutto 10mila piante di marijuana alte quasi 6 metri. Con quelle piante, opportunamente lavorate, la criminalità organizzata (e il suo “indotto”, come vedremo tra poco) avrebbe ricavato quasi 25 milioni di euro. È venerdì 2 settembre 2016.

Da anni le forze dell’ordine individuano piantagioni di cannabis indica sui monti Lattari, chiamati così per la particolare colorazione delle loro rocce, ribattezzati invece dalla stampa locale e nazionale “Giamaica italiana”, chiamata così per il particolare microclima che favorisce la crescita delle piante.

Questa è l’estate di “Tabula rasa”, l’operazione in più fasi, coordinata dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, messa in pratica dai carabinieri della stazione di Gragnano, guidati dal maresciallo Giovanni tab5Russo, da quelli della compagnia di Castellammare, agli ordini del maggiore Donato Pontassuglia e del capitano Carlo Santarpia, dagli agenti del Corpo Forestale dello Stato della stazione di Castellammare di Stabia, diretti dal comandante Raffaele Starace, dai militari del VII elinucleo di Pontecagnano, dai carabinieri del Nucleo Cinofili di Sarno.

Ieri le forze dell’ordine, che hanno “bonificato” il territorio dei Lattari, hanno scoperto un’ultima piantagione, a Lettere, in un terreno privato: 342 piante. Ognuna era alta circa 5 metri e pesava 20 kg. I proprietari del terreno e i responsabili della coltivazione, sono in via d’identificazione.

Tabula rasa, fino a questo punto, ha battuto ogni record stabilito negli anni precedenti: oltre 30mila piante di marijuana individuate e distrutte per un valore stimato di quasi 65 milioni di euro. Le coltivazioni si trovano tra Gragnano, Lettere e Casola di Napoli, i carabinieri arrivano in zone impossibili grazie alla guida di elicotteri e droni. Quasi sempre nei pressi delle piantagioni ci sono capanni per l’essiccazione e innaffiatori rudimentali ma funzionanti. I camorristi gestiscono e supervisionano l’intero processo, ma spesso non si sporcano le mani e limitano i rischi. Tabula rasa non ha fatto piangere solo i camorristi, ma anche tutti coloro che orbitano nel processo come i narcocoltivatori, ed ha portato importanti elementi di novità nell’inchiesta generale: aree demaniali, incendi controllati, procedura di coltivazione, momenti topici.

Quello che è certo e che c’è quasi un intero anno di lavoro dietro le piantagioni. Non si produce per caso un’erba apprezzata e venduta a peso d’oro rispetto alla concorrenza. Per le coltivazioni vengono scelte aree demaniali dei Lattari, ovvero terreni di proprietà pubblica sulle montagne, meglio se “liberati” dai boschi tramite incendi uno o due anni prima. Le aree demaniali servono soprattutto a rendere difficile l’identificazione dei responsabili delle piantagioni. Se confinano con terreni privati poco importa. Più di una coltivazione sequestrata quest’anno confinava con abitazioni di proprietà dei boss della camorra dei Lattari. Forti sospetti che non bastano: nulla che si potrebbe utilizzare in provvedimenti emessi da gip e Procura, figuriamoci in Tribunale. Bisognerebbe coglierli in flagrante, e mai ci si è andati così vicino.

La camorra, come si diceva, interviene poche volte nei mesi di coltivazione. All’inizio può finanziare l’avvio miri5della piantagione a persone fidate, non organiche alla cosca, finanziando poche migliaia di euro per semi, acqua, strumenti, una paga decente per i guardiani. Poi i narcocoltivatori devono fare tutto autonomamente: curare la marijuana, farla crescere, proteggerla da occhi indiscreti, essiccarla. Gli esponenti del clan tornano quando il prodotto è quasi finito per una sorta di controllo di qualità e comprano la droga sul posto. Una sola piazzola di cannabis può essere pagata fino a 60mila euro. Termina così il compito del coltivatore che non può avanzare pretese in percentuale sulla vendita finale. A quel punto il clan dovrà organizzare il trasporto verso i laboratori di trattamento finale ed imbustamento ed ingaggerà molti corrieri, ancora una volta meglio se non organici alla cosca, bensì insospettabili in cerca di soldi. Solo dopo molte settimane dal raccolto, quando la domanda sarà salita e le piazze di spaccio pronte, si inonderà il mercato con la merce di prima qualità dei Lattari.

L’attività di militari e forestale di venerdì 2 settembre ha interrotto l’ultima fase prima della trasformazione finale in droga: l’essiccazione. Ed è stata effettuata in un momento assai particolare. È probabile che se le autorità si fossero mosse poche ore dopo non avrebbero trovato più nulla. Il motivo? Sui Lattari si è aperta la stagione di caccia e i narcos dovevano far sparire tutto prima del fine settimana, quando i cacciatori si sarebbero inoltrati nei boschi. Gli occhi indiscreti sarebbero stati troppi da controllare.

tab3I carabinieri hanno davvero battuto a tappeto tutto il territorio senza risparmiare possibili nascondigli, scoprendone uno davvero particolare. L’ex convento di San Nicola dei Miri, una struttura del XIV secolo, al centro qualche anno fa di un’inchiesta dell’Antimafia per un appalto non proprio regolare riguardante il restauro. Era il 2011 e da allora nulla si è più mosso per il vecchio monastero. Almeno all’esterno. All’interno, invece, i militari qualche giorno fa hanno ritrovato numerosi fili di ferro stesi come se servissero per asciugare qualcosa. La marijuana, appunto: ne sono convinti gli inquirenti, datando comunque il tutto ad almeno due anni fa. In un modo o nell’altro, insomma, la criminalità è entrata nel convento trecentesco.

A Gragnano, Casola, Lettere e dintorni tira una brutta aria. I soldi tolti dalle tasche dei narcos sono stati moltissimi. Non è solo la Procura di Torre Annunziata ad interessarsi delle piantagioni. Anche la Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli ha un fascicolo aperto da quando, qualche anno fa, alcuni presunti coltivatori furono fatti saltare in aria (erano in auto e riportarono numerose ferite) con un ordigno artigianale ed un altro si salvò per miracolo quando i carabinieri scoprirono un altro ordigno sotto il suo mezzo. Si temette lo scoppio di una vera e propria guerra per il controllo del narcotraffico quando altre persone furono ferite a colpi di fucile tra i boschi.

Intanto, mentre si attende l’affondo finale da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, qualche giorno fa sono comparsi alcuni focolai tra i boschi a Lettere appena ripuliti dalla marijuana. Forse è la camorra che dà segnali di essere viva, e che prepara i terreni per un’altra estate di fuoco ed erba.

FraFree

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano