
Chiesta l’assoluzione per Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia e coordinatore campano del Pdl, dagli avvocati difensori Stefano Montone, Agostino De Caro ed Erica Cantiello dinanzi ai giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere collegio C, presieduto da Giampaolo Guglielmo.
Chiara la motivazione addotta delle toghe: “il fatto non sussiste”.
“Non c’è alcuna prova – ha dichiarato l’avvocato Montone – dell’accordo politico-mafioso tra Cosentino e i Casalesi, di quando e tra chi sia stato concluso e quanto sia durato. Allo stesso modo non è emersa alcun elemento che comprovi favori fatti da Cosentino al suddetto clan”.
Un’arringa a cui ha fatto eco quella del collega De Caro, che ha precisato: “I collaboratori di giustizia che accusano Cosentino si sono rivelati fonti equivoche, discordanti tra loro: personaggi che riferiscono di fatti narrati da terze persone, probabilmente boss della camorra di cui non hanno capito l’oggetto. In tal senso, avevamo chiesto la deposizione di alcuni capi clan per far chiarezza nella delicata vicenda ma ad oggi siamo riusciti solo a sentire Francesco Schiavone (cugino del più noto Sandokan) che non ha mai parlato di Cosentino”. “Non è un caso – ha proseguito l’avvocato Cantiello – che molti pentiti hanno fatto cenno a Cosentino molto tempo dopo la decisione di collaborare con lo Stato e solo dopo il suo l’arresto. Probabilmente hanno fidato sulla componente mediatica del processo per ottenere ulteriori sconti di pena o benefici carcerari”.
“Il fatto non sussiste”: una dichiarazione che lascia poco spazio all’immaginazione, trasformando nel contempo Cosentino in vittima di potenti sistemi camorristici (e non solo) e di conseguenza pedina da utilizzare per i pentiti al fine di alleggerire la propria posizione giuridica. Sicuramente una vicenda giudiziaria ancora lunga che ha diviso l’opinione pubblica da subito: da un lato c’è chi ha gioito dell’incriminazione di Cosentino inneggiando alla pulizia fatta dalla magistratura, dall’altro chi non ha mai creduto alla colpevolezza dell’ex sottosegretario “messo in mezzo” da personaggi potenti perché non avvezzo a sottostare a certe regole.
In sintesi: vittima o carnefice? Ai giudici di Santa Maria Capua Vetere, a breve, l’ardua sentenza.
Alfonso Maria Liguori