Lusso, bimbi al lavoro e “stese”: ecco il regno del terrore del clan “Elia”

Alle prime luci dell’alba di oggi i carabinieri del Nucleo Operativo della compagnia di “Napoli Centro”, in seguito ad una complessa indagine coordinata dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) del capoluogo partenopeo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip presso il Tribunale di Napoli nei confronti di 42 indagati gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, cessione di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, ricettazione, il tutto con l’aggravante del metodo mafioso.

L’indagine iniziata nel maggio del 2015 ha consentito di riscostruire l’intero organigramma del clan di camorra “Elia” operante nel quartiere “Pallonetto”, nella zona centrale di “Borgo Marinari” e a “Santa Lucia”. Comandato dai boss Ciro e Antonio Elia il gruppo camorristico si occupa prevalentemente dello smercio di stupefacenti con 4 piazze di spaccio operative sul territorio, del racket da imporre ad imprenditori e commercianti del posto e del traffico d’armi.

Nel corso dell’operazione è stato rinvenuto il libro contabile del clan contenete nomi e cifre inerenti l’attività criminale del gruppo, sequestrate armi da fuoco (nello specifico 2 pistole semiautomatiche cal. 7,65 e 1 mitraglietta automatica cal. 9) e relativo munizionamento oltre a varie dosi di stupefacente (cocaina, hashish e marijuana).

Arrestate in flagranza di reato 16 persone per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e 2 per evasione dagli arresti domiciliari. Il 26 giugno 2015 era stato già eseguito un provvedimento restrittivo per detenzione ai fini di spaccio nei confronti di Michele Elia figlio del ras Antonio, resosi irreperibile e poi catturato a Mondragone. Le indagini hanno inoltre evidenziato come nell’attività di spaccio a Santa Lucia gli Elia si avvalessero di donne e minori come pusher.

Ben 17 donne sono finite infatti nelle maglie della giustizia mentre le posizioni di alcuni minori sono al vaglio della magistratura perché non imputabili (si parla di un bambino di 12 anni dedito alle consegne in strada della droga e di una bambina di 8 impiegata per il confezionamento delle dosi). Gli Elia detenevano il controllo assoluto delle piazze di spaccio nella zona: i gestori delle stesse piazze dovevano acquistare la materia prima obbligatoriamente dal clan e versare una quota settimanale di 300 euro per punto di smercio.

In tal senso non sono mancati atti intimidatori e stese a colpi d’arma da fuoco esplosi in aria per affermare la leadership criminale del clan sul territorio (alcuni documentati dalle videocamere di sorveglianza installate nei luoghi teatro dei raid). Gli stessi gestori delle piazze di spaccio in caso di mancato pagamento dell’obolo agli Elia venivano puniti con il furto o la distruzione di veicoli in loro possesso. Nelle casse del clan doveva confluire anche il denaro proveniente dalle attività illecite di parenti diretti degli Elia, senza esclusione per alcuno.

E c’è di più: i fratelli Ciro e Antonio Elia consumavano quotidianamente lussuosi pranzi presso un noto ristorante del Borgo Marinari senza spendere un euro ma soggiogando il proprietario terrorizzato dalle possibili ritorsioni in caso di reazione all’abuso. Enorme il giro d’affari: ogni piazza di spaccio operativa h24 riusciva a vendere fino a 50 grammi di cocaina al giorno per un valore di 5000 euro lordi (cifra da cui detrarre le varie spese) oltre alla marijuana e all’hashish in quantità sempre considerevole.

Grazie agli enormi profitti buona parte degli indagati conduceva un tenore di vita altissimo pur non avendo alcun impiego lavorativo. In tutto i provvedimenti restrittivi prevedono 40 custodie cautelari in carcere e 2 agli arresti domiciliari.

Alfonso Maria Liguori

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