Il quadro seicentesco della Madonna Incoronata, oggetto di inestimabile valore religioso oltre che artistico rubato a Gragnano, non è stato affatto ritrovato.
Pochi giorni fa si era diffusa la notizia, riportata anche dal quotidiano “Metropolis” del clamoroso ritrovamento effettuato dai carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Artistico, con tanto di dichiarazioni euforiche del sindaco Paolo Cimmino, del prete della chiesa di Maria Ss di Costantinopoli (luogo dove il quadro fu rubato) e dello storico Giuseppe Di Massa.
Una notizia che ha emozionato l’intera comunità a cominciare dai parocchiani della Chiesa in questione. L’informazione, però, ha solamente illuso tantissimi cittadini gragnanesi.
La Procura della Repubblica della città di Prato ha effettivamente accusato di ricettazione un soggetto che avrebbe acquistato e rivenduto varie opere artistiche su un sito di vendite online. Tra queste ci sarebbe anche il dipinto di Gragnano che non è stato ritrovato perché subito rivenduto: gli inquirenti ne avrebbero perso le tracce.
E’ vero anche che don Roberto Buonomo, parroco della chiesa di Maria Ss. dell’Incoronata, è stato raggiunto da un’istanza di comparizione per testimoniare come parte lesa nel corso del processo contro il ricettatore.
Secondo alcune indiscrezioni, dopo un lungo girovagare in Francia e forse in altri paesi esteri, il quadro rubato nel lontano 1976, nel 2012 sarebbe finito addirittura su una piattaforma di vendite online e rivenduto per poche decine di euro. Nel 2013, su segnalazione di un cittadino gragnanese che aveva individuato il quadro sul sito di vendite online, i carabinieri hanno avviato un’indagine, conclusasi qualche mese fa con l’arresto del presunto ricettatore.
Non è la prima volta che succede una cosa del genere a Gragnano, e la vicenda ricorda molto quella della statua romana del Doriforo, che i giornali diedero per recuperata ma che poi scomparve di nuovo clamorosamente.
Restano numerose le opere artistiche smarrite o rubate che i gragnanesi non potranno ammirare a meno di altri rocamboleschi rinvenimenti da parte delle forze dell’ordine. Mentre senza più speranza di recupero restano gli edifici di grande pregio architettonico devastati dal terremoto del 1980 e sostituiti irrimediabilmente da orribili palazzoni.
Un discorso a parte meriterebbe invece la sorte del patrimonio archeologico appartenente al territorio gragnanese: la maggior parte dei reperti non sono ancora stati portati alla luce e restano sommersi da terreno o coperti da fabbricati di nuova costruzione; una cospicua quantità di pezzi è stata trafugata dai tombaroli ed è finita da tempo nelle mani di spregiudicati ricettatori internazionali spesso legati alla criminalità organizzata (l’area più depretata fu sicuramente la necropoli arcaica di Madonna delle Grazie); i reperti rinvenuti dagli scavi archeologici sono stati invece imballati e stivati all’interno del cosiddetto Antiquarium Stabiano e lì giacciono dimenticati da anni.
Il caso più assurdo è appunto quello del famoso Doriforo, statua di epoca romana alta 1,96 metri di incommensurabile valore, la migliore copia in marmo a noi pervenuta della famosa statua scolpita da Policleto nel 440 a.C., rinvenuta nel 1976 durante i lavori di sbancamento per realizzare abitazioni in località via Cupa Varano o forse nell’area oggi conosciuta come “Parco Imperiale”.
La scultura, rinvenuta clandestinamente e subito inserita nella fitta rete del mercato internazionale di opere archeologiche, è stata addirittura esposta nel 1980 all’Antikenmuseum di Monaco, con il nome di “Doryphoros aus Stabiae” di proprietà di un mercante svizzero. Nel 1986 la statua è riapparsa al Minnesota Museum of Art di Minneapolis, questa volta indicata con una diversa denominazione ed una nuova e fallace didascalia secondo la quale la statua era stata trovata agli inizi degli anni Trenta, nei fondali marini tra l’Italia e la Grecia, quindi in acque internazionali. Informazioni costruite ad arte ma a quanto pare sufficienti a celare definitivamente la vera provenienza della statua.
In tutti questi casi, a prescindere dal tipo di opera e dai motivi che ne hanno determinato la scomparsa – si tratta comunque di beni di inestimabile valore negati alla città. L’arte “negata” è proprio questo l’aggettivo utilizzato da Giuseppe Di Massa, autore di diversi libri che parlano del patrimonio storico-archeologico del territorio.
Tra questi c’è appunto il libro “Gragnano e Monti Lattari: le vicende artistiche e l’arte negata” pubblicato nel 2010. Il testo, frutto di anni di ricerche, riporta l’ inventario delle opere smarrite, rubate, distrutte a Gragnano. Un censimento parziale, come ci tiene a sottolineare lo stesso autore, perché probabilmente l’elenco è molto più lungo.
Vittime sacrificali sono state soprattutto le numerose chiese presenti sul territorio, arricchite nei secoli di preziose opere d’arte grazie alla devozione prima della nobiltà locale e poi, a partire dalla fine del settecento, dei pastai. Oggetti sacri in argento, pale cinquecentesche, prezioso vestiario religioso, dipinti, statue e persino intere pavimentazioni sono scomparse a causa di furti talvolta commessi con la complicità dei parocchiani e chissà forse anche dei preti.
L’evento cruciale che ha acuito questa ecatombe artistica è stato il terremoto dell’Ottanta. Le chiese abbandonate furono lasciate incustodite per molte settimane e i ladri fecero man bassa degli oggetti più preziosi.
Negli anni successivi tuttavia i furti sono continuati, come dimostrano ad esempio i furti delle statue di Gesù bambino trafugate nelle varie chiese. Reati alimentati dal fiorente collezionismo di statue religiose. Un bambinello del 1800, per esempio, sul mercato illegale può essere rivenduto anche per decine di migliaia di euro. Altri casi riguardano invece i furti degli stemmi gentilizi dalle chiese e dai palazzi storici della città: gli stemmi in marmo bianco della chiesa di San Marco Evangelista; lo stemma di palazzo Scafato; quelli di palazzo Barone e palazzo Mariconda.
A scomparire anche i pezzi di fontane come la testa di leone della fontana di piazza Matteotti o addirittura intere fontane come quella di piazza Paride del Pozzo risalente all’inizio del 1800 che negli anni ottanta fu smontata e consegnata al comando dei vigili urbani prima di scomparire definitivamente. Un altro episodio balzato agli onori della cronaca è quello del furto nel 1983 di 216 pastori artigianali risalenti al 1600 di proprietà del maestro presepaio Pasquale Cesarano.
Uno degli esempi più famosi, tra le opere religiose rubate a Gragnano, è proprio quello del quadro della Madonna Incoronata con bambino, denominato “Quadro Madonna e Corone”. Si tratta di un’opera dall’incommensurabile valore storico-religioso custodita per secoli nel santuario dedicato a Maria SS di Costantinopoli. Secondo la tradizione l’edificio sacro venne costruito in località Pozzale proprio nel luogo dove una giovinetta avrebbe rinvenuto il quadro della Maria Ss. di Costantinopoli in fondo ad un vecchio pozzo disseccato, gettato lì dai saraceni per sfregio dopo un’incursione corsara nel territorio gragnanese.
Il santuario divenne meta di pellegrinaggio e la Madonna in esso venerata, secondo molti, autrice di innumerevoli miracoli, ricevette addirittura l’Incoronazione nel 1779, ovvero l’apposizione di due corone d’oro (una alla Madonna e una al Bambino) autorizzata da una commissione vaticana, che riconobbe la veriditicità di numerosi miracoli.
Il quadro fu più volte portato in processione per placare le eruzioni del Vesuvio o altre calamità naturali. Le corone, in forma quasi rettangolare, erano ornate da una ricca decorazione di purissimo gusto rococò, raffiguranti piccoli cartocci, cherubini, ciuffi di foglie tra esili festoncini di rose.
I gragnanesi non possono far altro che sperare che nel corso delle indagini e del processo gli inquirenti riescano a trovare il quadro, probabilmente spogliato sia delle due preziosissime corone d’oro sia della cornice in argento dorato.
Le ruberie del 1976 sono state probabilmente commissionate e comunque organizzate accuratamente, infatti furono numerosi i reperti depredati all’interno della stessa chiesa: angeli portalampada in marmo bianco posti ai lati del quadro e opera di maestranze napoletane; numerosi calici, pissidi e candelabri in argento risalenti al XVIII secolo; una preziosa tovaglia di seta con ricami d’oro; un bassorilievo in marmo bianco rappresentante San Pietro Nolasco; un antico leggìo decorato a bulino e rivestito di lastre d’argento.
Dunque la chiesa di Maria Ss. di Costantinopoli, oggi conosciuta come chiesa dell’Incoronata, ancora prima del terremoto dell’80 ha subito un vero e proprio sfregio di incalcolabile valore.
Considerando la mole dei furti probabilmente i ladri poterono contare sulla collaborazione di assidui frequentatori del santuario. Oggi al danno si aggiunge la beffa di una notizia che ha illuso l’intera comunità.
Carmine Iovine