La contaminazione culturale e sociale con la grecità: ecco Pompei e i Greci

pompei e i greci materialiLa contaminazione culturale e sociale con la grecità: ecco Pompei e i Greci. Duemila anni fa, nel I secolo dopo Cristo, a Pompei non si parlava solo in latino ma anche in greco. Anzi, le classi più agiate usavano il greco molto frequentemente. Quanto Pompei fosse una “città con spiccata anima greca” lo mostra la grande esposizione che è stata inaugurata nella Palestra Grande, sotto il porticato, nello stesso spazio dove sino a qualche settimana fa c’erano i reperti della mostra “Pompei e l’Egitto”.

Seicento pezzi, quelli esposti, attraverso i quali il visitatore potrà vedere quanta anima e cultura greca vi fosse in città. Molti di questi reperti sono assolutamente straordinari. Come il “lontro”, una piroga ottenuta scavando un unico tronco, trovata a Longola di Poggiomarino, una decina di anni fa. L’imbarcazione, che è lunga sette metri, serviva a chi abitava gli isolotti nel IX secolo avanti Cristo per muoversi sul fiume.

Furono proprio quegli uomini dell’Età del Ferro che verso il IV secolo avanti Cristo andarono a fondare, come ipotizzano gli archeologi, la città di Pompei. Altri reperti raccontano la storia dell’incontro della città con il mondo greco e la sua cultura che proprio dal VI – V secolo avanti Cristo aveva “invaso” il mediterraneo e fondato le sue colonie Magno greche. I reperti di Pompei e i Greci esposti comprendono ceramiche, ornamenti, armi, sculture, gioielli. (Il testo continua dopo il video)

Provengono da Ercolano, Stabiae, Cuma, Capua, Metaponto. Ci gli elmi del tiranno siracusano Gerone, le tavolette cerate trovate a Murecine (una zona tra Pompeie e Castellammare di Stabia) e quelle rinvenute nella casa di Cecilio Giocondo, un banchiere pompeiano, che testimoniano come i contratti di compravendita si facessero in doppia lingua: greco e latino. Anche i ragazzi, quando andavano a scuola imparavano il greco come seconda lingua. La testimonianza viene da alcuni graffiti (sono scritte segnate con un oggetto appuntito) trovati in città. Insomma, parlare greco a Pompei, tra il II secolo avanti Cristo e il 79 dopo Cristo era molto alla moda.

Tanto più che gli oggetti di uso comune e anche alcuni ambienti delle case ricche conservavano i loro nome di un elmo grecoorigine greca: perystilium (cortile interno al centro della casa, circondato da colonne) da «περιστύλιον», exedra (spesso, un sedile esterno semicircolare) da «ἐξέδρα», triclinium (locale in cui si serviva il pranzo) da «τρίκλινον», a esempio. Così come c’erano i profumi: il rodhinon che arrivava da Rodi. E, nomi greci avevano i contenitori di queste essenze usate dalle matrone pompeiane: aryballos: piccolo vaso a collo stretto contenente oli profumati, usato dagli atleti durante gli allenamenti; o il lekythos: un vaso dal corpo allungato, che conteneva oli e unguenti profumati, e veniva usato nelle cerimonie funebri o quale segnacolo sepolcrale.

“A Pompei – come hanno sottolineato i curatori della mostra Pompei e i Greci, il direttore generale della Soprintendenza, professor Massimo Osanna e Carlo Rescigno, docente di archeologia della Seconda Università della Campania Vanvitelli – nasce una grecità declinata nel contatto continuo tra greci etruschi, indigeni e italici, i quali portano a creare una identità pompeiana sua specifica in cui pezzi del mondo greco contribuiscono a comporre di fatto la città”. La mostra, il cui allestimento si deve all’architetto Bernard Tchumi, progettista del Museo dell’Acropoli di Atene, ed è illustrata dal catalogo di Electa, resterà vistabile sino al 27 novembre 2017.

Maria Cirillo

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