Ferdinando Cesarano, il padrino di Ponte Persica (alias Nanduccio e Ponte Persica) che sta scontando diversi ergastoli avrebbe basato la tesi di laurea in Giurisprudenza, conseguita circa 2 anni fa dopo quella in Sociologia del 2007, sulla condizione del detenuto al regime di 41 bis.
“Sono rinchiuso in una cella angusta, senza lenzuola e con le pulci nel letto”: queste le testuali parole pronunciate dal boss Cesarano per descrivere l’inumana condizione dei detenuti soggetti al regime di massima sicurezza.
Proprio in questi giorni l’opinione pubblica è divisa sulla questione Riina, ovvero sul diritto o meno del capo di Cosa Nostra gravemente ammalato di lasciare il carcere per morire “con dignità” a casa. Al di la delle motivazioni etiche che potrebbero far discutere della questione per ore colpisce la decisione con la quale Ferdinando Cesarano si sarebbe rivolto agli stessi magistrati: mai sottomesso ma sempre fiero della propria personalità che lo allontana nettamente da capi camorra del calibro di Pasquale Galasso o Carmine Alfieri passati anni addietro tra le fila dei collaboratori di giustizia.
Cesarano non si è mai pentito né dissociato: la sua è stata sempre un’azione finalizzata a garantire una detenzione umana a chi varca la porta del carcere. Per comprendere meglio la figura di Ferdinando Cesarano occorre spulciare nel suo passato: arrestato nel maggio del 1993 era riuscito ad evadere in modo clamoroso dall’aula bunker di Salerno nel giugno del 1998.
Deve scontare 3 ergastoli, più altri 12 anni e 3 mesi inflittigli in via definitiva per associazione camorristica nel 2006. Un capo carismatico e spietato della Nuova Famiglia che ha sempre negato lo stretto legame con Carmine Alfieri. Attraverso l’usura, il contrabbando, il racket, Ferdinando Cesarano accumulò negli anni un vero e proprio patrimonio: un potere economico tale da tentare di acquistare gli stabilimenti cinematografici De Paolis a Roma, operazione già avviata però da Pasquale Galasso che diventò, una volta passato tra le fila dei collaboratori di giustizia, tra i principali accusatori di Nanduccio ‘e Ponte Persica.
I giudici scrissero di lui: “La straordinaria disponibilità economica consente a Ferdinando Cesarano di soccorrere gli imprenditori in difficoltà del vesuviano attraverso prestiti usurai a tassi d’interesse altissimi. Inoltre Cesarano svolge una vera e propria funzione sociale sul territorio, intervenendo per dirimere liti e contrasti tra imprenditori concorrenti e scoraggiando nel proprio regno, anche con metodi estremamente violenti, la microcriminalità e lo spaccio di stupefacenti”.
Ferdinando Cesarano, mai pentito, incarna la figura del boss di altri tempi emulato dai giovani che vivono ‘di strada’ e legato profondamente ai luoghi d’origine. Un boss talmente potente da essere temuto dai clan della vicina Torre Annunziata e di Castellammare di Stabia, sempre pronti a trattare con i Cesarano ma estremamente attenti a non pestare i piedi al leader criminale di “Ponte Persica”.
Alfonso Maria Liguori