Torre Annunziata, un uccello racconta il crollo: fra tragedia e cattivo gusto qualcuno va via

Martedì 25 luglio, il gala del Premio Nettuno si apre con un raggelante filmato. Gli ideatori hanno pensato bene di dare voce al canarino trovato vivo tra le macerie. L’unico sopravvissuto.

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La mattina del 7 luglio Torre Annunziata era surreale. Ricordo le urla, i pianti dei familiari, degli amici. L’arrivo dei soccorritori. La folla che assisteva incredula. Poi c’ero io che, mentre mi dirigevo sul luogo del crollo per guardare e raccontare, ero assalita dall’ansia. Mi mancava il respiro. Avvolta in una bolla, mi sentivo come in apnea.

Poi l’impatto. Davanti a me la palazzina sbriciolata, completamente accartocciata su se stessa. La conferma: otto persone erano lì sotto. La bolla era scoppiata. L’incredulità lasciava spazio a panico e dolore, mentre la freddezza della giornalista che era lì per informare scompariva.

Tre settimane dopo provo le stesse emozioni miste ad un senso di squallore. Quando un uccello ansimando inizia a raccontare la tragedia. Accade all’annuale Premio Nettuno, presso l’omonimo stabilimento. Non è bastato lo sciacallaggio mediatico di chi cercava di scavare nella vita delle otto vittime, pur di dare in pasto alla belva spettatrice il pane quotidiano. Stavolta è stato superato ogni limite del cattivo gusto.

Martedì 25 luglio, il gala si apre con un raggelante filmato. Gli ideatori hanno pensato bene di dare voce al canarino trovato vivo tra le macerie. L’unico sopravvissuto. Di fargli descrivere la paura e la disperazione di chi ad un tratto si ritrova schiacciato dalla propria casa.

«Giacomo, non ti sento respirare – pensa la povera bestia – Chi sono questi sconosciuti con questi strani copricapi? Non sono i miei padroni, cosa vogliono da me?». E già, come può un volatile riconoscere i vigili del fuoco? (sic!). Piange, soffre, caccia i pompieri, teme di morire.

Nel frattempo le immagini scorrono sullo schermo. Parenti, soccorritori, semplici cittadini. Il disastro, in versione romanzata, degno della peggior soap opera, spiattellato con un videoproiettore ad una premiazione e servito agli spettatori. Qualcuno resiste; seduto tra il pubblico don Ciro Cozzolino, il parroco della SS. Trinità, che, alla visione di tale scempio, va via.

Non poteva bastare una frase, un pensiero, un minuto di silenzio. No, hanno voluto strafare. Così una tale perdita, che oltre allo strazio della tragedia porta con sé anche gli strascichi di una lunga e difficile inchiesta per accertare le responsabilità della scomparsa di otto persone, diventa un racconto trash.

A quasi un mese dal crollo, con la scusa di ricordarli, si continua a lucrare sui morti. L’unico modo per onorarli è far emergere la verità. Individuare le colpe, umane, e consegnare i responsabili alla giustizia. Ma questo al pubblico non interessa: la pornografia della morte è l’unica a fare ancora rumore e lo spettacolo deve continuare. The show must go on. Peccato che non stiamo parlando di uno spettacolo, quello era solo al Nettuno l’altra sera.

Roberta Miele

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