Imprenditore costretto a pagare il pizzo al clan, in manette i reggenti dei Cesarano

cesaranoEra costretto a pagare quasi 2mila euro al mese di pizzo e doveva assumere affiliati del clan. E’ questo quello che ha dovuto subire un imprenditore di Pompei per diversi anni prima di essere “salvato” dalle forze dell’ordine. Nella giornata di ieri, infatti, la Polizia di Stato, su indicazione della Procura di Napoli, ha emesso quattro ordinanze di custodia cautelare contro alcuni esponenti del clan Cesarano, operante tra Castellammare e Pompei.

Le indagini si sono sviluppate in questi mesi dopo alcune denunce dell’uomo. E’ stato possibile ricostruire l’intero iter criminale che ha portato i quattro ras del clan Cesarano ad impossessarsi di numerose somme di denaro del povero imprenditore. La fine di un incubo per lui che si è liberato dell’estorsione dei quattro criminali. Inizialmente era costretto a pagare circa 300 euro al mese ma, in un secondo momento, dopo l’arresto di alcuni esponenti della cosca, le cifre superavano abbondantemente i 1500 euro. In caso di mancato pagamento, potevano scattare anche delle violenze fisiche.

I nomi degli arrestati

Sono tutti nomi eccellenti quelli emessi dalla Procura di Napoli. Sono stati fermati, infatti, il boss Luigi Di Martino (arrestato lo scorso anno dopo un blitz della Procura di Salerno), suo figlio Gerardo e due affiliati dei Cesarano, Aniello Falanga e Raffaele Belviso (pregiudicato). Sarebbero stati questi quattro ad imporre il pizzo al povero imprenditore e ad aumentare il tasso d’interesse ogni mese.

A gestire gli affari economico del clan Cesarano, secondo quanto ricostruito dalla Polizia di Stato, sarebbe Gerardo Di Martino, che dopo l’arresto di suo padre, ha dovuto prendere in mano le redini della cosca. Era lui, infatti, il reggente dell’associazione criminale attiva tra Castellammare e Pompei. Erano fondamentali in questa estorsione, e probabilmente anche in altre non ancora scoperte, anche Aniello Falanga e Raffaele Belviso. I soldi servivano, verosimilmente, a pagare le famiglie dei detenuti.

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