Carmine Alfieri, Pasquale Galasso, Mario Fabbrocino, Ferdinando Cesarano, Valentino Gionta, Michele D’Alessandro: l’hit parade, tra pentiti e irriducibili, della Nuova Famiglia.
Carmine Alfieri: detto anche “o’ ntufato” (l’arrabbiato) a causa del ghigno corrucciato che aveva impresso in viso, vissuto a Piazzolla di Nola (frazione dell’omonimo comune), sua roccaforte, è stato uno dei massimi esponenti della Camorra napoletana nel decennio a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90. Fu testimone diretto dell’uccisione del padre giurando atroce vendetta. Sin da giovane fu arrestato per detenzione abusiva di armi da fuoco, estorsione e lesioni. Nel 1974 ricevette dalla Camorra la consacrazione a “uomo d’onore”, primo passo di una carriera criminale che lo porterà, ad essere riconosciuto come uno dei più potenti e temuti boss, tra i primi, insieme al sodale Antonio Bardellino (col quale progetta e porta a compimento una delle più eclatanti carneficine di camorra: la Strage di Sant’Alessandro, che nel 1984, a Torre Annunziata, decima il clan Gionta), a conferire, grazie anche ad importanti agganci ed influenze nel mondo politico e finanziario, un’impronta imprenditoriale alla criminalità organizzata in Campania. Nella seconda metà degli anni ottanta diede vita con altri clan dell’entroterra e della città ad una confederazione camorristica, nota con il nome di Nuova Famiglia, in contrapposizione alla NCO di Raffaele Cutolo. Divenuto collaboratore di giustizia si è dichiarato responsabile, direttamente e indirettamente, di circa centocinquanta omicidi, confessando insospettabili intrecci e protezioni a livello istituzionale, tirando in ballo uomini politici all’epoca assai in vista e chiarendo la posizione del suo braccio destro, Pasquale Galasso.
Pasquale Galasso, l’ex boss pentito oggi rispettabile imprenditore nel settore alimentare (si parlerebbe di supermercati tra le tante attività gestite da Galasso), è indicato come il principale accusatore di Antonio Gava, leader indiscusso della Democrazia Cristiana e soprannominato “il vice re” per la rilevanza dei ruoli istituzionali ricoperti (eletto presidente della Provincia di Napoli nel 1960, onorevole nel ’72, nell’80 Ministro per i Rapporti con il Parlamento, 3 volte Ministro delle Poste e Telecomunicazioni, Ministro delle Finanze e 2 volte Ministro dell’Interno). Vicino alla massoneria e, a detta di numerosi pentiti, in contatto con i servizi, Galasso continuerebbe a fornire dichiarazioni ai giudici in processi eccellenti di camorra. In molti ritengono che Galasso possa essere depositario di segreti rilevanti nei rapporti tra istituzioni deviate e criminalità organizzata e che la sua “salvezza” derivi proprio dalla capacità dello stesso di gestire adeguatamente tali informazioni. Oggi questa figura quasi epica della camorra potrebbe, nella legalità, muovere i fili di qualche burattino da inserire abilmente in alcune amministrazioni locali in quello stesso territorio che un tempo lo vide tra i capi assoluti della Nuova Famiglia.
Valentino Gionta: il super boss, mai pentito, detenuto dal 2007 nel carcere di Novara al 41 bis. Nonostante la condanna e il fascicolo giudiziario che recita “fine pena mai” Valentino Gionta resta il leader assoluto sotto il profilo criminale di Torre Annunziata. Un padrino della camorra in grado di tener testa a capi storici del crimine organizzato del calibro di Antonio Bardellino, Carmine Alfieri, Mario Fabbrocino e Pasquale Galasso rispondendo colpo su colpo ad agguati spesso di violenza inaudita (come la famosa strage del 1984 in cui persero la vita numerosi affiliati dei “valentini” su mandato di Bardellino e su esecuzione materiale degli uomini di Alfieri). Una cosa è certa: al di là delle scontate considerazioni sull’equivoco dettato dall’ignoranza che confonde coraggio con viltà e onore con vergogna ancora oggi a Torre Annunziata Valentino Gionta gode di un prestigio criminale negato ad altri boss del paese. “Noi siamo i valentini, gli altri, tutto il blocco non sono nessuno”.
Ferdinando Cesarano: “Nanduccio ‘e Ponte Perisca”, il padrino mai pentito che rappresenta ancora per molti affiliati una figura criminale da emulare per determinazione e capacità aggregativa. Cesarano incarna la figura del boss di altri tempi emulato dai giovani che vivono ‘di strada’ e legato profondamente ai luoghi d’origine. Nanduccio ‘e Ponte Persica resta ad oggi una delle figure più rappresentative del sistema: un manager del crimine che nonostante la lunga detenzione a regime di massima sicurezza non ha mai pensato di collaborare con lo Stato. Un particolare questo che in certi ambienti ne fa una figura epica promuovendolo a super boss della camorra che conta.
Mario Fabbrocino, principe della Nuova Famiglia tra il nolano e il Vesuvio: capo dell’omonimo clan (alias ‘o gravunaro), detenuto per duplice omicidio dall’agosto del 2005, controllerebbe ancora il traffico di stupefacenti, il mercato delle costruzioni, il racket tra San Gennaro Vesuviano e San Giuseppe vesuviano, Ottaviano e San Gennarello, Palma Campania e Terzigno. Un uomo potente Mario Fabbrocino, legato a cartelli principali della droga in Sud America e capace di infiltrarsi nelle istituzioni ai massimi livelli. Un impero economico composto da immobili di lusso sparsi per il mondo, terreni, società e ditte intestate a prestanome, supermercati, bar, ristoranti e centri all’ingrosso per il rifornimento di attività agricole.
Michele D’Alessandro, criminale di Castellammare, il defunto numero uno della camorra stabiese ai vertici della Nuova Famiglia, il padrino che faceva cosi parlare la sua gente: “A Castellammare non si muove foglia che zi’ Michele non voglia”. Carismatico e deciso, Michele D’Alessandro sarebbe indicato da numerosi pentiti come il mandante di decine di omicidi commissionati durante la faida contro il clan capeggiato da Umberto Mario Imparato. Mai pentito il ras di Scanzano, in merito alla scelta di collaborare con lo Stato effettuata dal numero uno della Nuova Famiglia Carmine Alfieri e dal suo delfino Pasquale Galasso, con ironia dichiarò ai giudici: “Quelli sono veri boss, si possono pentire, io avrei poco da dire”. Parole in codice pronunciate quale testimonianza di una scelta di vita mai rinnegata dal boss a differenza di altri esponenti di spicco della camorra pentitisi all’“occorrenza” e forse “per convenienza”. La morte di Michele D’Alessandro avvenuta in carcere in seguito ad un attacco cardiaco non determinò la fine dello spessore mafioso della famiglia per il passaggio di consegne alla moglie Teresa Martone. Donna forte, reggente del clan e ideatrice delle strategie operative da adottare per mantenere la leadership criminale sul territorio, Teresa Martone gestisce ad oggi il potere mafioso raggiunto dal marito dalla roccaforte di Scanzano. Tanti i business controllati dai D’Alessandro, una volta incentrati sullo spaccio di stupefacenti e poi allargati ai centri scommesse e ai videopoker. Luigino, Pasquale, Vincenzo d’Alessandro: questi i nomi degli eredi del boss di Scanzano che sarebbero stati magistralmente diretti dalla madre Teresa nelle parentesi storiche più delicate del clan, quando nessuno sembrava avere la capacità di risollevare l’immagine di un casato camorristico fortemente temuto dagli altri gruppi della Nuova Famiglia. Un potere economico rilevante, amicizie influenti nella società “che conta”, professionisti di prim’ordine a disposizione dell’organizzazione: donna Teresa Martone ha saputo gestire bene l’impero criminale ereditato dal marito Michele che rappresenta in certe realtà ancora un mito da emulare per i ragazzi di strada.
Alfonso Maria Liguori