Scuola, i docenti: Corte europea dei Diritti dell’Uomo invasa dai ricorsi

Già stamattina si contavano più di mille raccomandate spedite a Strasburgo dagli insegnanti campani di ogni ordine e grado delle fasi 0, a, b, c e di chi, ancor prima del 2015 aveva fatto domanda di trasferimento.

scuola cedu strasburgoIl primo settembre si avvicina e i docenti meridionali invece di preparare la valigia, dichiarano guerra al Governo e inviano una lettera di formalizzazione di richiesta di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Già stamattina si contavano più di mille raccomandate spedite a Strasburgo dagli insegnanti campani di ogni ordine e grado delle fasi 0, a, b, c e di chi, ancor prima del 2015 aveva fatto domanda di trasferimento. Ma il numero è destinato a crescere: all’appello si sono unite Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna. Tutti uniti nel Coordinamento Educatori e Docenti Italiani (CEDI).

Eterni precari in balìa di un algoritmo «confuso, lacunoso, ampolloso, ridondante», i docenti del Mezzogiorno d’Italia sono costretti ogni anno a giocare alla roulette russa delle assegnazioni provvisorie. La stabilità sembra diventata un’utopia, nonostante l’immissione in ruolo ottenuta dopo anni di gavetta, e precariato, già accumulati.

Con la legge 107 del 2015, i lavoratori della scuola, in mancanza di un’alternativa, sono stati costretti ad aderire al piano straordinario di mobilità rischiando, in caso di rifiuto della nuova destinazione, la cancellazione dalle graduatorie ad esaurimento, o addirittura il licenziamento.

Una situazione che non sembra migliorare, al contrario, peggiora ad ogni nuovo piano di mobilità, che viola la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che offende la dignità umana. Di qui, la decisione di chiedere l’intervento dell’Europa attraverso la sua principale istituzione, la Corte Europea, nel tentativo di costringere il Miur ad un programma straordinario di rientro immediato. Se da Roma non cederanno, i docenti proseguiranno con il ricorso. E sarà l’ennesimo contro una normativa che ha fallito ogni tentativo di porre fine al continuo vagabondaggio.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo scarso numero di trasferimenti avvenuti dalle altre regioni e le sole 20 cattedre provvisoriamente assegnate alla Scuola dell’Infanzia di Napoli e provincia a fronte delle centinaia e centinaia di richieste.

Martedì 22 agosto i “deportati” hanno manifestato dinanzi alla sede dell’Ufficio Scolastico Regionale chiedendo di ricoprire i posti in deroga sul sostegno. La risposta data dai dirigenti è stata quella di coinvolgere la Regione, che, però, nulla può fare al riguardo.

Eppure, l’ordinanza n. 848 del 27/03/2017 del Tar di Reggio Emilia parla chiaro. Per quei posti non possono essere nominati i supplenti collocati nelle graduatorie ad esaurimento e d’istituto, poiché hanno priorità i docenti di ruolo richiedenti l’assegnazione provvisoria. Così un’insegnante di Cutro, titolare di cattedra in Emilia, ha ottenuto l’assegnazione ad una scuola della provincia di Crotone facendo valere il proprio diritto al ricongiungimento familiare.

Tale diritto le era stato negato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che si è opposto all’accoglimento del ricorso. Il Tribunale, invece, ha dato ragione alla docente, ordinando al dicastero di assegnarla ad una scuola ubicata nell’ambito provinciale di Crotone.

Dunque, in migliaia anche quest’anno, come ogni anno, saranno costretti a tornare ad insegnare nelle scuole del nord. Le conseguenze della deportazione si riflettono negativamente sui docenti, sulle loro famiglie che, oltre al trauma della separazione, devono sostenere i costi della trasferta, poiché 1300 euro al mese non bastano a pagare le spese per il trasporto e il sostentamento lontano da casa. Ma, soprattutto, cala la qualità dell’insegnamento in quanto non viene garantita nemmeno la continuità didattica. Effetti che ricadono tutti sugli studenti.

Sembra delinearsi una chiara volontà politica che rifiuta ogni possibilità di investire nelle scuole del sud. Il bisogno di trasferirsi è dovuto ai tagli effettuati negli ultimi anni dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, non dalle necessità scolastiche. Nelle aree più difficili e degradate a causa della mancanza di personale non si effettua il tempo pieno, nemmeno nella Scuola dell’Infanzia, rendendo impossibile il raggiungimento delle 40 ore settimanali previste.

Una volontà avallata e perpetrata dai sindacati che, avendo firmato, anche stavolta, il contratto collettivo nazionale di lavoro, non permettono ai docenti richiedenti il trasferimento nemmeno l’assegnazione provvisoria in deroga, nonostante i posti disponibili solo per Scuola dell’Infanzia e Primaria siano ben 6mila. Considerando che la stessa titolare del dicastero, Valeria Fedeli, è una sindacalista, è facile capire che, nella logica corporativistica, l’unico a perdere – a dover perdere – è il lavoratore.

Roberta Miele

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