Morta una libreria, non se ne farà un’altra.

La chiusura della libreria Mondadori di via Regina Margherita, diventata negli anni punto di riferimento culturale dell'intera città, chiuderà i battenti domani. Una storia fatta di coraggio, cultura e libri. Ma soprattutto di tanta, troppa, indifferenza da parte di tutti. Istituzioni e cittadini.

La libreria Mondadori di via Regina Margherita in chiusura a partire da domani.

Morta una libreria, non se ne farà un’altra.

Che lo sappiano tutti, compresi quelli che hanno ignorato gli appelli pro libreria Mondadori o i lettori improvvisati e di «tendenza» che da ore, anzi da giorni, pubblicano a gogò foto di libri, copertine e segnalibri.

Tutti indignati per la chiusura della Mondadori di via Regina Margherita. Naturalmente.

Indignati perché, e cito testualmente riportando frasi contenute nei commenti apparsi negli ultimi giorni, «la Mondadori non può e non deve chiudere» oppure «la città di Castellammare perde uno dei suoi punti di riferimento culturale più importanti».

Riflessioni, anzi reazioni, legittime.

La verità, però, è un’altra.

La verità è che la Mondadori non l’abbiamo difesa.

Noi, dico. Noi giornalisti, noi scrittori, noi cittadini, noi politici. Noi, Città.

E non l’abbiamo difesa perché, al netto di tutto quello che si sente in queste ore dei libri e di tutto ciò che essi rappresentano per il progresso dell’umanità, non ce ne importa niente.

I libri stancano, secondo alcuni. Secondo altri hanno un andamento troppo lento, specie se confrontato con i ritmi pazzoidi e frenetici imposti dalla vita moderna.

La libreria Mondadori è diventata un simbolo di questa città.

Della Castellammare liquida, inerte. Della Castellammare che si lascia passare tutto addosso.

Una città che scorre, come le sue acque, dal ventre delle montagne al mare. Senza lasciare una traccia corposa, significante.

Una città che da tempo ha dismesso i panni della lotta, della contesa, della ribellione verso le giuste cause. Nemmeno più l’illusione di combattere qualcosa è rimasta.

«Tutti noi ce la prendiamo con la storia, ma io dico che la colpa è nostra» cantava Giorgio Gaber.

Ed è questo l’unico dato di fatto che si porta dietro la chiusura della Mondadori.

Siamo lì tutti a prendercela con l’editoria, la crisi, i lettori in calo ecc. ecc.

In realtà la chiusura dell’oasi Mondadori è solo la cartina di tornasole di una città disabituata a pensare in grande, al futuro.

E si sa che il futuro, quello reale e concreto, non lo si costruisce con i tempi pazzoidi e deliranti di oggi. No. Il futuro si costruisce con la calma e i valori. Come quelli contenuti nei libri, ad esempio. Perché il futuro non si improvvisa, come i saltimbanchi del pubblico agone vogliono farci credere.

Il futuro si conquista con pazienza e lentezza. Con i tasselli formati da parole e idee, gli unici lasciapassare per il futuro.

Tutto questo è una libreria. Una navicella che traghetta verso il futuro.

E chiudendola, la Mondadori, abbiamo procurato un aborto al futuro.

Al futuro della nostra città.

Angelo Mascolo

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