«Vogliamo tornare a casa.» Stamattina la protesta dei docenti di Campania, Calabria e Sicilia che rischiano di rimanere al nord per altri quattro, cinque anni. Dinanzi Ufficio Scolastico Provinciale di Napoli, si sono riuniti gli insegnanti, accolti e ascoltati dal Direttore Generale Fabrizio Perrella.
La bozza del contratto collettivo di lavoro sottoscritto da Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Uil-Scuola, Snals-Confsal e Gilda-Unams destina alla mobilità interprovinciale non oltre il 40 percento dei posti disponibili per l’anno scolastico 2019/2020, il 30 percento per l’a.s. 2020/2021, il 25 percento per l’a.s. 2021/2022. Una cifra insignificante per i professori, rappresentati a Napoli dal CEDI (Coordinamento Educatori e Docenti Italiani, ndr) e da NONSISVUOTAILSUD a Palermo.
«Una beffa, per noi, costretti a fare domanda al nord dalla Buona Scuola.», commentano. Con la legge 107 del 2015, i lavoratori della scuola sono stati costretti ad aderire al piano straordinario di mobilità rischiando, in caso di rifiuto della nuova destinazione, la cancellazione dalle graduatorie ad esaurimento, o addirittura il licenziamento. «Ormai da ‘precari di Stato’ siamo diventati ‘precari di ruolo’. Pendolari a vita che, nonostante gli anni di gavetta, il precariato, non riescono a vedere il termine della trafila. Manca il piano di rientro promesso dal governo e sconfessato dal contratto che firmerà insieme a tutte le parti sindacali.» Sono 23mila gli insegnanti meridionali sparsi per tutta Italia. In 6mila dalla sola Campania, 5mila dalla Sicilia e 3mila dalla Calabria. «Abbiamo alle spalle anni di servizio, ma con percentuali così esigue riservate ai rientri, vedremo – come già accade – le giovani leve assunte in istituti scolastici delle province di residenza, mentre noi anziani costretti a centinaia di chilometri da casa. La scusa della mancanza di posti non regge più, in organico di fatto le cattedre ci sono eccome! Chiediamo una soluzione definitiva a questo disastro nel rispetto della legge.» Il decreto legislativo 165/2001 prevede la priorità delle procedure di mobilità su quelle concorsuali e, quindi, di assunzione. Non demordono i docenti. Ad agosto 2017, hanno invaso nel giro di pochi giorni la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con migliaia di ricorsi e sono pronti a ripetersi dando ancora battaglia qualora le loro richieste non venissero accolte.
«Ben vengano le immissioni in ruolo per i giovani – concludono –, ma noi, i vecchi, dobbiamo aspettare la pensione per poter godere del diritto alla famiglia, alla dignità del lavoro? Siamo stanchi di questa guerra tra poveri.»
Roberta Miele