Il motorino – un liberty 50 con la marmitta esausta – è buttato in un angolo del cortile. Per il momento, è inutilizzabile. Antonio, nome di fantasia di questa storia, è un «pizza boy», un porta pizze. Uno di quei ragazzi che, soprattutto nei week end, vedete sfrecciare per le strade dei vostri paesi. Un don Chisciotte, con mezzi di locomozione improbabili e sgangherati, muniti di bauletti in alluminio per tenere calde le pizze.

Antonio ha 34 anni, è un lavoratore a nero. Mi accoglie – visti i tempi – da lontano, salutandomi con un sorriso. Si arrangia in una pizzeria non molto lontano da casa mia. Se gli va bene – mi racconta – nei week end può «alzarsi» (guadagnare per chi non è napoletano) fino a venti euro di mancia in una serata.

Che poi piova, ci sia vento o altro non importa. Lui indossa il casco – rigorosamente allacciato come ha cura di ricordarmi – e si butta in strada a consegnare pizze, focacce e pezzi di friggitoria.

Questo week end sarebbe stato in trincea, come ogni sabato. E invece il suo motorino è al palo. È fermo nel cortile di una casa che sembra uscita da un film del dopoguerra. Diroccata, con le pareti in tufo e l’odore stantio di ragù andato a male che si attacca addosso come un difensore che marca a uomo.

Antonio ne sente tante, in questi giorni. Covid-19, emergenza, epidemia. E poi le misure economiche attese sul fronte dei mutui, degli affitti, dei liberi professionisti, delle banche.
Ho l’impressione che voglia scherzare quando mi dice «Ma a me, dotto’, chi mi pensa?», «Se chiudono le pizzerie, i ristoranti e le tavole calde io che faccio?».

Sebbene la sua storia non sia senza contraddizione, questo ragazzo di trentaquattro anni dipinge un volto, nel quale forse non abbiamo guardato abbastanza, di questa crisi che stiamo vivendo.

Cosa ne sarà dell’economia sommersa? Dei lavoratori in nero? Di quelli che non esistono? Di quelli che – non sempre per malcostume italico – sono costretti ad accettare condizioni infamanti di lavoro perché altra soluzione non c’è? Cosa ne sarà del loro «lavoro», delle loro famiglie?

Una risposta ad Antonio io non gliel’ho saputa dare. Perché non so a lui chi possa pensare. Però la sua storia – la storia di un porta pizze fantasma – ci parla di un paese in trincea. Che sia un’economia reale o sommersa, siamo tutti alle prese con una situazione nuova, spaventosa, e al momento senza via d’uscita.

Forse, me ne rendo conto, non sarà politicamente corretto. Anzi, potrebbe sembrare una provocazione o un torto verso quelle centinaia di migliaia di lavoratori regolari (tra cui il sottoscritto).

Ma vorrei che questo cielo nero si diradasse subito. E se il prezzo da pagare per uscire da questo tunnel è veder sfrecciare nuovamente Antonio sul suo motorino fatto a pezzi dall’incuria – che arrotonda a nero con le mance che gli lasciano i clienti dopo la consegna delle pizze – questo prezzo vorrei pagarlo subito.

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