L’interrogativo che in questi giorni ci rintrona in testa come un leitmotiv è: «Quando finirà? Un altro mese? Altri due? Quando?» Gli occhi puntati sono sulla Cina. Da lì è tutto cominciato con il Coronavirus e pare che, dalle notizie che ci vengono, proprio in Cina si registrano risultati positivi. Ovvero la fine della pandemia.

È finita in Cina com’è cominciata, senza alcun segno premonitore dell’inizio del disastro virale. Al di là della quarantena, senza vaccini ancora da trovare. Sarà così anche nel nostro Paese? Probabilmente sì. Come, speriamo, al di là delle polemiche, l’Italia possa regalare al mondo un vaccino contro questo terribile e temibile virus.




Chi ne sta facendo più le spese dell’esiziale virus sono gli anziani, in special modo quelli che vivono da soli o che sono ospitati in case di riposo. Se ne vanno senza neanche poter avere vicino i loro cari. Senza una benedizione alle bare in cui sono stati deposti. È sicuramente terribile per un familiare non avere la possibilità d’accompagnare al cimitero e piangere il proprio caro defunto. Ma la prudenza in questi casi non è mai troppa. I rischi di contagio sono spaventosi e ha fatto bene il nostro Governo a emanare norme molto, ma molto restrittive.

Nella disgrazia atroce che ha colpito il nostro Paese un elemento positivo. Il riconoscimento unanime all’Italia della capacità di affrontare il virus in modo efficiente ed efficace. Insomma, in questo caso non siamo secondi a nessuno. Per lo spirito d’abnegazione che abbiamo messo nell’affrontare il pericolo. Per le scelte drastiche messe in atto dal nostro Governo. Ma, soprattutto, per la capacità dei nostri infermieri, dei nostri medici nello sfidare – senza alcun timore – un “male oscuro” che, più che ad altri, per loro poteva essere estremamente rovinoso. E i numeri dei decessi del personale medico ed infermieristico dimostrano come questa categoria si è opposta, senza preoccupazioni per le proprie vite, al funesto virus.

Ci sono poi atti eroici che non potranno mai essere dimenticati. Come quello compiuto da un medico affetto dal virus, con gravi difficoltà respiratorie, che non esita a dare il respiratore che lo teneva in vita ad un giovane degente. Pur sapendo che quel gesto gli poteva costare la vita, com’è stato. E di casi del genere, di pura generosità, se ne potrebbero elencare altri.



E pensare che il nostro Paese è stato spesso visto all’estero – ma anche da noi italici, in verità – come terra del qualunquismo. Una realtà che come “squadra” puntualmente fa autogol. Stavolta, in caso di necessità come spesso avviene, ci siamo dimostrati altruisti, anche oltremisura.

Nell’analizzare certe situazioni, come quella testé descritta, ma anche pensando alle varie calamità che il nostro Paese ha dovuto sopportare – terremoti, alluvioni, ecc -, una domanda viene spontanea: «Perché solo nelle grandi avversità diventiamo una squadra eccezionale, superiore a tutte le altre?»

Se certi valori non li hai dentro, se non li conosci, non li possiedi, nemmeno nel momento del bisogno assoluto essi possono uscir fuori. Non ci sono e basta! Ciò significa che, al di là della nostra immagine nel mondo, spesso centrata sul qualunquismo, sull’egoismo, sul disinteresse, sulla svogliatezza, e chi più ne ha più ne metta, siamo un popolo di grande generosità. È un vero peccato che la nostra indole positiva debba venir fuori solo nel momento dell’assoluto bisogno, quando altri, con molta probabilità e anche con qualche giustificazione, difronte a situazioni estreme avrebbero, come si dice, “cambiato strada”. No, noi italiani certe strade, in caso di necessità, non le cambiamo, anzi ci affrettiamo a percorrerle.




Pensate un po’ se la tecnica del battere strade difficili, tortuose, impraticabili, noi italiani l’applicassimo per le normali vie lastricate e senza buche o fossi. Pensate un po’ se facessimo squadra anche nei momenti non eccezionali, ma sempre. Con le nostre materie prime “magnifiche”, ma anche con i nostri “cervelli” non secondi a nessuno, potremmo essere in molti campi i primissimi nel mondo.

Già oggi il nostro “Made in Italy” mette i brividi alla concorrenza nel mondo. Si sono inventati di tutto per creare problemi a questo marchio. Lo hanno denigrato, copiato. Ma, al di là di tutto, anche dei nostri “carachiri”, non c’è proprio niente da fare, anche divisi, riusciamo a mantenere primati mondiali. E se fossimo fortemente uniti…?

Elia Fiorillo

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