Dal 1993 fino ad oggi, in Polonia era possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza solo in tre casi: ove si fossero riscontrare anomalie del feto, nel caso in cui la gravidanza minacciasse la salute della madre o qualora fosse conseguenza di stupro o incesto.
Già questa selezione aveva posizionato il regime polacco fra i più rigidi e antiabortisti in Europa, tenendo anche conto della presenza di un partito ultraconservatore (PiS) che negli ultimi anni ha costantemente minato i diritti delle donne.
Nell’aprile del 2016, infatti, quest’organizzazione ha proposto una legislazione modificata per vietare l’aborto in tutti i casi, escludendo la salvaguardia della salute della madre. Una legge, questa, che avrebbe richiesto dure sanzioni nei confronti dei trasgressori, ma che negli ultimi 4 anni è sempre stata respinta. Successivamente, nel 2018 s’è verificata un’ondata di proteste alla sola minaccia che questo disegno di legge venisse approvato, demotivando forse il governo a prenderlo seriamente in considerazione.
Questo, fino al 22 ottobre del 2020, quando, in seguito alle recenti elezioni, la nuova composizione della Corte Costituzionale polacca ha visto alla guida politica proprio il partito Legge e Giustizia (Pis), il cui capo storico, e recentemente vicepremier, Jaroslaw Kaczynski, non ha di certo nascosto la sua propensione ad inasprire e limitare ulteriormente la legge sull’aborto.
Il tribunale costituzionale, giovedì 22 ottobre, ha quindi vietato l’aborto anche in caso di anomalie del feto (secondo i dati dello scorso anno, su 1100 aborti, 1075 erano stati eseguiti a causa di anomalie di questo genere) sollecitando una folla di manifestanti a riversarsi nelle piazze delle maggiori città.
Donne e uomini hanno marciato verso la casa del leader del partito in carica, muniti di candele e carrelli, affrontando anche la repressione della polizia che, come ha testimoniato l’emittente privata TVN, non si è risparmiata nell’utilizzare mezzi estremi, come gas lacrimogeni.
Simbolo di questa insurrezione, sono sicuramente le tante immagini che immortalano le strade di Varsavia inondate da una folla inferocita nei confronti del Governo locale, una battaglia che non ha risparmiato neanche le chiese, manifesto di un’influenza cattolica che in più occasioni ha condizionato le scelte politiche del Paese.
Segno distintivo fra le foto di questa battaglia, è sicuramente il fulmine disegnato sui volti e sui cartelli dei protestanti, emblema di un’opposizione femminista che non ci sta e che può contare anche sulla solidarietà dei vari movimenti di lotta che si sono affiancati alla causa delle donne polacche.
Solo pochi giorni fa, le attiviste di Non Una Di Meno hanno mostrato il loro sostegno con un presidio sotto l’ambasciata polacca a Roma, voluto forse per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana nei confronti della vicenda.
All’appello social ha aderito anche l’attrice Kasia Smutniak, che su Instagram ha condiviso lo sconforto che il suo paese d’origine sta affrontando in questi giorni: “Ciò per cui i miei genitori hanno combattuto è stato oggi violato e calpestato. I miei figli pagheranno conseguenze di questi giganteschi passi indietro. Come madre, donna e cittadina di questo paese, dico basta”.
La fiamma della rivoluzione non è destinata a spegnersi facilmente, perché oltre alla paura del virus che minaccia la salute del mondo intero, non troppo lontano da noi ci si batte per la libertà di scelta ed il nemico non è poi così invisibile.
Elvira La Rocca