La commissione tecnico-scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato all’uso di due anticorpi monoclonali in Italia: il cocktail della Regeneron e il farmaco di Eli Lilly, sono gli unici in commercio

La ricerca scientifica nella lotta al Coronavirus non si arresta. Nonostante le misure di contenimento e prevenzione e i vaccini che stanno ridando speranza al genere umano, la corsa all’individuazione di ulteriori strategie ed armi in campo medico che possano contrastare questa pandemia mondiale non si arresta.


Gruppi di ricerca, centri raccolta dati, scienziati di tutto il mondo, società farmaceutiche, perseverano nel loro lavoro per poter contribuire, ognuno con le proprie conoscenze e tecnologie a sconfiggere il Sars-CoV-2.

Notizie incoraggianti arrivano dagli studi effettuati i tutto il mondo sugli anticorpi monoclonali il cui uso potrebbe integrare la campagna vaccinale in corso.

Utilizzati come risorsa nel campo dei trapianti, dell’oncologia e della reumatologia, negli ultimi decenni gli anticorpi monoclonali sono entrati a far parte a pieno titolo della ricerca per combattere le malattie infettive emergenti, come l’ebola.

In sintesi i monoclonali consisterebbero in anticorpi sintetici fabbricati in laboratorio, derivanti da quelli naturali e prelevati da pazienti immunizzati. Questi anticorpi “ricreati” ed immediatamente attivi contro il virus, si legherebbero alla proteina Spike bloccandola e impedendo così, all’infezione di penetrare nelle cellule del corpo.


Dagli studi condotti dagli scienziati, sembra che i monoclonali riescano a generare una risposta anche migliore dell’organismo per combattere il Covid. Tuttavia, poiché si è osservato che la copertura è limitata nel tempo e produce risultati apprezzabili solo nei pazienti che non presentano già complicanze più gravi, la sua somministrazione è consigliata entro massimo 72 ore dalla comparsa della malattia e non oltre 10 giorni dal momento  in cui si è accertata la presenza del virus.

“I monoclonali riducono il rischio di ricovero del 72-83%, se presi nella fase iniziale della malattia – ha affermato Giorgio Palù dell’Aifa – a 72 ore dalla comparsa dei sintomi, quando la carica virale è massima, altrimenti sono inutili”.

L’anticorpo monoclonale, è bene sottolinearlo dunque, non previene l’infezione, né agisce come i vaccini, ma è utile nella misura in cui previene che la malattia degeneri in forme più gravi.

La somministrazione che molto probabilmente verrà eseguita in strutture ospedaliere per garantire sicurezza e presenza di personale qualificato, prevede un’infusione endovenosa di circa un’ora e un tempo di osservazione tra i 15 e 30 minuti così come accade per i vaccini.

Due gli anticorpi monoclonali autorizzati dalla commissione tecnico-scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco: gli americani Regeneron, composti dal mix di due anticorpi che abbatte la carica virale, ed Eli Lilly che ridurrebbe la mortalità del 70%.


Tuttavia, in linea con le raccomandazioni del Canada e dell’Fda negli Stati Uniti, anche l’Aifa ha indicato limitazioni al loro utilizzo. I monoclonali, infatti, potranno essere somministrati, in fase precoce, a una categoria limitata di pazienti ad alto rischio di evoluzione dell’infezione da Covid-19.

Il Regen.Cov, prodotto dal colosso americano Regeneron aveva già ottenuto l’autorizzazione all’uso in emergenza” dall’Ente americano per il controllo sui farmaci, la FDA. Salito alla ribalta dopo essere stato utilizzato dallo stesso ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, questo anticorpo sembrerebbe in grado non solo di ridurre considerevolmente la carica virale, ma anche di contenere del 50% il rischio di contrarre l’infezione.

Una notizia confortante, in quanto potrebbe essere utilizzato come “vaccino passivo” in attesa della fornitura dei vaccini veri e propri.

Il secondo monoclonale autorizzato, Eli Lilly, ha mostrato un’efficacia notevole nel ridurre il rischio di ospedalizzazione per quei pazienti che hanno sviluppato un’infezione da lieve a moderata.

Purtroppo al momento due le note dolenti; il costo piuttosto elevato del farmaco e l’incognita sull’efficacia nei confronti delle nuove varianti del virus originale.



Una boccata d’aria a basso costo potrebbe arrivare in primavera quando si spera possa essere immesso sul mercato un prodotto tutto italiano sviluppato dalla Toscana Life Sciences a Siena. Nel suo Monoclonal Anibody Discovery Lab (Mad) è al lavoro un team di 17 esperti, tra biologi, immunologi, informatici, coordinati dal dottor Rino Rappuoli. Il gruppo di ricercatori ha selezionato anticorpi da persone guarite dalla malattia ed isolato il più potente sulla base del quale è stato sviluppato il farmaco, ora in fase di sperimentazione.

Tra i medici in prima linea ad aver avuto l’intuizione giusta su questa terapia, l’oncologo dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli Paolo Antonio Ascierto, fautore di un protocollo terapeutico sperimentale nella prima fase dell’epidemia. Proprio Ascierto aveva utilizzato per primo gli anticorpi monoclonali, il Tocilizumab, già prima dell’estate scorsa e ne aveva registrato i primi risultati positivi.

Bianca Di Massa



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