Una lotta contro il tempo impari quella che case farmaceutiche e scienziati stanno portando avanti per vaccinare l’intera popolazione con la consapevolezza che le nuove varianti si stanno dimostrando più resistenti e possono non essere bloccate dai vaccini sviluppati ed autorizzati sino ad oggi.

Risolte le problematiche relative al ritardo e poi alla riduzione delle dosi e iniziata la campagna vaccinale, Pfizer comunica che il suo vaccino potrebbe non essere in grado di debellare la variante sudafricana.



Questo è quanto si evince dall’ultimo comunicato emesso dalla Pfizer/BionTech che ha effettuato uno studio di laboratorio, pubblicato sul New England Journal of Medicine dell’Università del Texas di Gavelston, dal quale si evincerebbe la maggiore resistenza della variante sudafricana che potrebbe ridurrebbe di due terzi l’efficacia della protezione del vaccino.

Lo studio ha riguardato 20 campioni di sangue prelevato da 15 volontari sottoposti alla vaccinazione. I test di laboratorio avrebbero rilevato una diminuzione dell’efficacia degli anticorpi pari a 2/3.


Tuttavia il colosso farmaceutico si dice ottimista in quanto essendo l’efficacia del siero piuttosto alta, resterebbe comunque un margine entro il quale il vaccino è in grado di proteggere comunque da questa variante.

I dati raccolti però non hanno trovato ancora pieno riscontro negli studi clinici effettuati su volontari, dai quali, almeno stando allo stato attuale, non sarebbero emersi elementi a conferma.

“Va detto che si tratta di dati osservati sul sangue di poche persone in vitro, e non sull’organismo intero della persona”, ha spiegato il virologo dell’Università Bicocca di Milano. Nei test di laboratorio vengono considerati gli anticorpi neutralizzanti, ma nel corpo umano c’è anche la risposta immunitaria dei linfociti T, che nello studio appena eseguito non viene misurata.

“Saranno solo i dati clinici, con esame sistematico della persona, a dirci – ha aggiunto il virologo – se e quanto effettivamente cala la protezione offerta dal vaccino”. Va anche tenuto conto del fatto che non esistono ancora dei “parametri di riferimento” per determinare qual è il livello di anticorpi necessari a garantire l’immunità. Ciò significa che non si può determinare al momento se la riduzione della protezione anticorporale determini anche la mancata efficacia del vaccino.


Stessa situazione per il vaccino Moderna che ha rilevato una riduzione, pari a 6 volte nel numero di anticorpi prodotti contro la variante sudafricana. Un altro studio reso noto il 7 febbraio scorso, svolto dall’Università di Oxford Witwatersrand e dalla stessa università di Oxford aveva rivelato che anche AstraZeneca garantirebbe una protezione limitata contro la variante sudafricana identificata come mutazione B.1.351.

Certamente la guerra al Covid-19 non è ancora vinta, occorrerà adesso concentrarsi sullo sviluppo di vaccini di richiamo per le varianti che serpeggiano ormai ovunque e delle quali ancora relativamente poco si conosce. Fortunatamente molte aziende si stanno già adoperando in tal senso. Tuttavia sarà possibile farlo solo i vaccini a Rna come quelli di Pfizer o Moderna o con proteine ricombinanti, come quelli di NOvavax e Sanofi e non con quelli vettoriali come AstraZeneca, Reithera o Sputnik.


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