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Oltre un secolo di carcere per vertici e affiliati del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia. E’ la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli (seconda sezione) presieduta da Maria Francica. Tutto ciò, nell’ambito del processo Domino, che vede alla sbarra il gotha della cosca scanzanese. Tutti devono rispondere di associazione a delinquere, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Castellammare, processo “Domino”: oltre un secolo di carcere per vertici e affiliati del clan D’Alessandro

Tra le 16 condanne, spiccano quelle di Sergio Mosca (13 anni) e Antonio Rossetti, alias o’guappone (13 anni), ritenuti dai magistrati reggenti dei D’Alessandro per un lungo periodo. Tra i condananti c’è anche Nino Spagnuolo (11 anni e 4 mesi), altro volto storico della cosca egemone di Castellammare. Questi invece gli altri condannati: Antonino Alfano (7 anni e 4 mesi), Carmine Barba (2 anni e 10 mesi), Marco Cimmino (3 anni e 4 mesi), Francesco Ciurelo (2 anni e 4 mesi), Francesco Delle Donne (11 anni e 4 mesi), Antonio Longobardi (7 anni e 4 mesi), Alfonso Perillo (2 anni e 10 mesi), Marco Schettino (2 anni e 8 mesi), Vincenzo Schettino (7 anni e 4 mesi), Roberto Somma (2 anni e 10 mesi), Giovanni Tufano (3 anni), Ciro Vitale (15 anni) e Giuseppe Vuolo (7 anni e 8 mesi).

Associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti

Tra i capi d’accusa, inoltre, figurano anche la detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente, reati tutti aggravati dalle finalità mafiose. Alcuni degli arrestati infatti agivano avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al clan D’Alessandro, nonché al clan Afeltra – Di Martino. Le indagini riguardano un ampio spettro temporale compreso tra il 2017 ed il 2018, dove si è dimostrato che il clan D’Alessandro aveva assunto il monopolio del mercato degli stupefacenti. Sotto l’influenza del clan l’intera area stabiese e penisola sorrentina. Inoltre, grazie alla strategica alleanza con il clan Afeltra-Di Martino, tale sistema era esteso anche sull’area dei Monti Lattari.

Il mantenimento degli affiliati detenuti e le rispettive famiglie

Il meccanismo era stato creato ad hoc e prevedeva una piattaforma unica per la distribuzione della marijuana sulle diverse piazze di spaccio. Tutto avveniva sotto la regia di un direttorio composto da elementi di massimo vertice del clan D’Alessandro, che fissava il prezzo minimo di vendita dello stupefacente. Lo scopo era ricavarne una quota fissa da destinare al mantenimento degli affiliati detenuti ed alle rispettive famiglie. Per l’acquisto degli stupefacenti, su larga scala, il clan D’Alessandro si era affidato nel corso del periodo d’indagine ad una rete di broker. Gli intermediari reperivano lo stupefacente attraverso nuovi canali di approvvigionamento, che fungevano da intermediari per il clan nell’acquisto del narcotico.

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