Una folla straordinaria ha gremito piazza Bartolo Longo, a Pompei, il primo giorno di ottobre, dinanzi al sagrato del Santuario, dove si è rinnovata la celebrazione della Supplica alla Beata Vergine del Santo Rosario, presieduta in quest’occasione da Monsignor Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, che ha presieduto la Santa Messa e, a mezzogiorno, la recita della celebre preghiera composta, nel 1883, dal Beato Fondatore Bartolo Longo.
E, proprio nel momento in cui tutto il mondo elevava alla Madonna la sua invocazione, Papa Francesco, nel recitare l’Angelus in Piazza San Pietro, ha esortato a recitare il Santo Rosario con due intenzioni particolari di preghiera.
«Oggi inizia il mese di ottobre, il mese del Rosario e delle missioni – ha detto il Santo Padre – esorto tutti a sperimentare la bellezza della preghiera del Rosario, contemplando con Maria i misteri di Cristo e invocando la sua intercessione per le necessità della Chiesa e del mondo. Preghiamo per la pace, in Ucraina e in tutte le terre ferite dalla guerra. Preghiamo per l’evangelizzazione dei popoli. E preghiamo per il Sinodo dei Vescovi, che in questo mese vivrà la prima Assemblea sul tema della sinodalità della Chiesa».
Il mondo ha bisogno di Dio e di sua Madre. La Supplica diventa così strumento di affidamento alla Madonna. Lo ha spiegato, nell’omelia, l’Arcivescovo Baturi: «La Supplica (…), che unisce quasi il mondo intero davanti alla Beata Vergine Maria, riassume la verità della nostra condizione davanti al mistero di Dio: siamo mendicanti della misericordia, pellegrini dell’Eterno. Supplichiamo pietà».
«La Supplica – ha proseguito – è proprio il movimento libero di chi si sente custodito nel cuore di Maria». E a Maria, con la Supplica, si chiede tra l’altro di intercedere «per le Nazioni traviate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo Cuore».
E il primo degli affanni, per l’umanità di oggi, è la drammatica mancanza di pace, l’idolatria dell’egoismo, l’insistenza di ragionare con “l’io” e mai col “noi”, l’odio che continua ad uccidere Cristo sulla croce. «Un cuore vuoto di sé – ha spiegato il Segretario generale della Cei – si lascia riempire da Cristo, si lascia dilatare dall’amore per accogliere ogni fratello e ogni sorella. Non è questa forse la più radicale contestazione della guerra, che nasce sempre dall’idolatria del “mio” contrapposto al “tuo”, dei “nostri” che fronteggiano gli “altri”? È sempre l’idolatria di sé stessi che genera la lite perché pretende di spiegare e piegare la realtà (cose e persone) su motivi e interessi limitati, rompendo la tensione all’armonia e all’unità. Non è più umano pensarsi dentro un “noi”? Non è più giusto cercare una verità capace di dar ragione del mio e del tuo, che possa essere riconosciuta nella vita e nel volto di ogni uomo? Nelle tante vittime della guerra e dell’odio rivive la croce di Cristo e noi supplichiamo che si manifesti con potenza d’amore la sua vittoria sulla morte e sull’odio».
La pace, per i credenti, è Cristo stesso. L’Arcivescovo Baturi, in conclusione, invoca «la Vergine Maria» perché «ci doni i sentimenti di Cristo per saper vivere “unanimi e concordi” con uno sguardo aperto alla valorizzazione di ogni sorella e di ogni fratello. Il Vangelo ci esorta a vivere e a lavorare da figli di un Padre che ama la vita e che ci desidera operatori di pace, promotori di vera amicizia. Lavorare nella vigna del Signore significa promuovere il bene e costruire la pace e la giustizia nella verità. Supplichiamo la Vergine “Regina di pace e di perdono”, mendichiamo la misericordia, invochiamo la pace. O Madre Santissima, veglia su tutti noi, donaci la forza e la dolcezza del tuo “sì”, accompagna le nostre Chiese nel Cammino sinodale, libera i cuori di tutte le persone dall’odio, guida il mondo intero verso la pace!».
Monsignor Baturi è stato accolto nella Città mariana dall’Arcivescovo di Pompei, Monsignor Tommaso Caputo, che ha ricordato l’impegno del Santuario per l’evangelizzazione, la propagazione del Santo Rosario, la carità. Tutti strumenti di pace vissuti, a Pompei, nel carisma del Beato Bartolo Longo, “rilanciato” dall’Anno Giubilare Longhiano, iniziato il 1° ottobre 2022, un anno fa, per ricordare il primo arrivo del Fondatore nella Valle pompeiana.
«“Chi propaga il Rosario è salvo!” – ha detto il Prelato – sono le parole che il Beato ha messo in pratica in tutta la sua lunga vita e ci sono state di guida nell’Anno Giubilare Longhiano, che stiamo per concludere, con la consapevolezza di dover far fruttare l’eredità lasciataci dal nostro Fondatore. Egli ci ha consegnato Pompei come un grande libro aperto con una splendida storia da rivivere e ancora di più da aggiornare. Una storia fondata su due capitoli essenziali, tra loro intrecciati, il Tempio della fede con il flusso continuo di pellegrini e il Tempio della carità con le Opere in favore della gioventù in difficoltà e dei poveri. Al centro di tutto: la preghiera del Rosario, di cui, con gli scritti e con l’intera sua opera, in particolare attraverso i Quindici Sabati, ha sviluppato l’anima cristologica e contemplativa. La carità gli ha poi suggerito di accogliere gli orfani, i figli e le figlie dei carcerati, e di costruire, attorno al Santuario, le opere sociali, quasi una corona di rose che ancora oggi, a distanza di 150 anni, raccontano alla Città e al mondo la bellezza dell’amore fraterno».
La Santa Messa è stata concelebrata da Monsignor Andrea Bellandi, Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno; Monsignor Mario Milano, Arcivescovo e Vescovo emerito di Aversa; Monsignor Gennaro Pascarella, Vescovo emerito di Pozzuoli e di Ischia; Monsignor Luigi Travaglino, Nunzio apostolico emerito nel Principato di Monaco.
Alle migliaia di fedeli, presenti sul sagrato della Basilica, si sono unite centinaia di migliaia di persone che hanno seguito il rito in televisione, sui rispettivi siti e sui social network, grazie alle emittenti Tv2000 e Canale 21.
Omelia dell’Arcivescovo, Monsignor Giuseppe Baturi
Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
Eccellenze Reverendissime,
carissimi tutti in Cristo,
la Supplica composta dal Beato Bartolo Longo, che dal 1883 viene elevata in questo santuario e che unisce quasi il mondo intero davanti alla Beata Vergine Maria, riassume la verità della nostra condizione davanti al mistero di Dio: siamo mendicanti della misericordia, pellegrini dell’Eterno. Supplichiamo pietà. A Maria chiediamo di volgere il suo sguardo pietoso “su di noi, sulle nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, sul mondo”.
“Ti prenda compassione – invochiamo nella supplica – degli affanni e dei travagli che amareggiano la nostra vita. Vedi, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo, quante calamità ed afflizioni ci costringono”.
Il riconoscimento della nostra miseria e, al tempo stesso, l’indomito desiderio di salvezza, di felicità e verità, davanti al volto della Madre diventano richiesta umile e ardente di misericordia.
“Pietà oggi imploriamo per le Nazioni traviate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo Cuore. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!”.
Chiediamo di non essere dimenticati, che la vita nostra sia benedetta, che non siamo perduti ma attirati alla gioia di ciò che è tanto grande e bello da non morire in eterno. Alla Madre possiamo chiedere tutto senza vergogna perché certi di essere amati. Diceva san Giovanni Crisostomo: “Chi è amato si muove a suo piacimento nell’intimo del cuore che lo ama” (Omelia 13, 1-2 sulla Seconda lettera ai Corinzi). Ci muoviamo liberamente solo nella profondità del cuore di Dio che si fa prossimo nel cuore della Madre. La supplica è proprio il movimento libero di chi si sente custodito nel cuore di Maria.
San Paolo ci ricorda l’importanza di avere in noi “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5): è Lui è il vero uomo, il volto che svela il nostro vero volto. La contemplazione dei sentimenti di Cristo di obbedienza al Padre e compassione per l’uomo ci permette di riconoscere i tratti del volto autentico dell’uomo, della grandezza della sua vocazione. Lo sguardo a Gesù morto e risorto, che sempre ci viene incontro come amico e fratello, ci apre alla conoscenza della verità di noi, del mondo e dell’intera storia degli uomini. Quante volte, però, gli occhi sono rivolti altrove e alle sofferenze subite da Cristo ne infliggiamo altre anche noi, quando agiamo con malvagità o indifferenza verso le sorelle e i fratelli. Le notizie di cronaca ci restituiscono una triste fotografia di questo tempo: quanta violenza anche in ambiti familiare e affettivo, quante guerre e conflitti… Dove stiamo andando? Quale società stiamo costruendo? Quale vita cerchiamo?
Le risposte sono in quel corpo issato sul legno della Croce: il segreto della vita nuova che Cristo ci trasmette consiste nello “svuotarsi di se stessi”, nella kenosi che Gesù ha scelto e incarnato fino alla morte. Il paradosso cristiano è che si trovano pienezza e compimento in questo perdersi, in questo svuotarsi dalla preoccupazione per se stessi.
Un cuore vuoto di sé si lascia riempire da Cristo, si lascia dilatare dall’amore per accogliere ogni fratello e ogni sorella. Non è questa forse la più radicale contestazione della guerra, che nasce sempre dall’idolatria del “mio” contrapposto al “tuo”, dei “nostri” che fronteggiano gli “altri”? È sempre l’idolatria di sé stessi che genera la lite perché pretende di spiegare e piegare la realtà (cose e persone) su motivi e interessi limitati, rompendo la tensione all’armonia e all’unità. Non è più umano pensarsi dentro un “noi”? Non è più giusto cercare una verità capace di dar ragione del mio e del tuo, che possa essere riconosciuta nella vita e nel volto di ogni uomo?
Nelle tante vittime della guerra e dell’odio rivive la croce di Cristo e noi supplichiamo che si manifesti con potenza d’amore la sua vittoria sulla morte e sull’odio. Il cammino autenticamente religioso verte sempre verso la pace perché si mette alla ricerca del Padre che è intimo a ciascuno, del Tutto che abbraccia ogni persona.
Per noi cristiani la pace ha il nome più dolce: Cristo “è la nostra pace” (Ef 2,14). Egli è la ragione della quotidiana fatica che inevitabilmente esige la personale conversione: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2, 3-4). Cristo “ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia”, per “riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo per mezzo della croce” (cf. Ef 2,14-16).
La Vergine Maria ci doni i sentimenti di Cristo per saper vivere “unanimi e concordi” (Fil 2,2), con uno sguardo aperto alla valorizzazione di ogni sorella e di ogni fratello! Il Vangelo ci esorta a vivere e a lavorare da figli di un Padre che ama la vita e che ci desidera operatori di pace, promotori di vera amicizia. Lavorare nella vigna del Signore significa “promuovere il bene e costruire la pace e la giustizia nella verità” (cfr. Francesco, Udienza generale, 13 settembre 2023).
Supplichiamo la Vergine “Regina di pace e di perdono”, mendichiamo la misericordia, invochiamo la pace. O Madre Santissima, veglia su tutti noi, donaci la forza e la dolcezza del tuo “sì”, accompagna le nostre Chiese nel Cammino sinodale, libera i cuori di tutte le persone dall’odio, guida il mondo intero verso la pace! E così sia!
Giuseppe Baturi
Arcivescovo di Cagliari
Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
Saluto dell’Arcivescovo di Pompei, Mons. Tommaso Caputo, all’Arcivescovo Giuseppe Baturi
Eccellenza, caro fratello Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana, benvenuto a Pompei e grazie per aver accettato di presiedere la Celebrazione della Santa Messa e la recita solenne della Supplica!
Accogliamo in Lei tutta la Chiesa Italiana che sta servendo con instancabile dedizione come Segretario Generale, compito molto impegnativo al quale è stato chiamato, poco più di un anno fa, da Papa Francesco.
Ci unisce, con Cagliari, sede del Suo ministero episcopale, anche la profonda devozione alla Vergine Maria, a Pompei venerata con il titolo di Madonna del Rosario e nella Sua Arcidiocesi come Nostra Signora di Bonaria.
Assieme a Lei, saluto i fratelli Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose, l’amministrazione comunale della nostra straordinaria Città, con le distinte autorità civili e militari e i tanti fedeli e pellegrini che riempiono questa piazza, provenienti da diverse parti d’Italia e anche dall’Estero.
Un pensiero speciale va ai fedeli ucraini che convengono numerosi a Pompei per ricevere conforto e assistenza spirituale.
Un saluto particolare, poi, a coloro che ci seguono attraverso la televisione, in modo speciale agli anziani, agli ammalati, ai detenuti e alle persone diversamente abili.
Iniziamo oggi il mese di ottobre, dedicato al Santo Rosario, preghiera antica e sempre nuova, che è il fondamento stesso del nostro Santuario. È il Rosario, infatti, che la Vergine indicò a Bartolo Longo come chiave per la salvezza. È il Rosario che lo ha trasformato in apostolo di Cristo e di Maria, sua Madre, e lo ha reso primo evangelizzatore della nuova Pompei.
Poco più di centocinquanta anni fa, ai primi di ottobre del 1872, il giovane avvocato pugliese giunse in questa Valle per amministrare le proprietà della Contessa Marianna Farnararo, vedova De Fusco, che divenne, poi, sua consorte, vera e propria cofondatrice di questo Santuario. Egli, aggirandosi tra le campagne desolate della Valle, era preoccupato per la sua salvezza eterna, a causa del passato allontanamento da Dio. La Vergine parlò al suo cuore: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario». Egli decise, dunque, di non muoversi più da Pompei, comprese la sua vocazione e rispose: «Io mi salverò, perché, non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario».
“Chi propaga il Rosario è salvo!”. Sono le parole che il Beato ha messo in pratica in tutta la sua lunga vita e ci sono state di guida nell’Anno Giubilare Longhiano, che stiamo per concludere, con la consapevolezza di dover far fruttare l’eredità lasciataci dal nostro Fondatore.
Egli ci ha consegnato Pompei come un grande libro aperto con una splendida storia da rivivere e ancora di più da aggiornare. Una storia fondata su due capitoli essenziali, tra loro intrecciati, il Tempio della fede con il flusso continuo di pellegrini e il Tempio della carità con le Opere in favore della gioventù in difficoltà e dei poveri. Al centro di tutto: la preghiera del Rosario, di cui, con gli scritti e con l’intera sua opera, in particolare attraverso i Quindici Sabati, ha sviluppato l’anima cristologica e contemplativa.
La carità gli ha poi suggerito di accogliere gli orfani, i figli e le figlie dei carcerati, e di costruire, attorno al Santuario, le opere sociali, quasi una corona di rose che ancora oggi, a distanza di 150 anni, raccontano alla Città e al mondo la bellezza dell’amore fraterno. Fondò, con la consorte Marianna, le Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario di Pompei a ministero del Santuario e delle Opere di Carità.
Sono con noi in piazza i responsabili, i volontari e gli ospiti dei nostri Centri, i religiosi, le religiose, le famiglie, che si spendono per l’accoglienza di neonati, fanciulli, giovani, anziani, ragazze madri, poveri.
Attorno al Santuario e alle sue Opere è sorta questa nuova Città, fondata dal Beato.
Eccellenza, ecco la nostra realtà, viva e vitale, piccola per territorio, ma senza confini grazie ai milioni di pellegrini provenienti da ogni dove e alla vicinanza con il parco archeologico tra i più famosi nel mondo. Oggi, gli innumerevoli devoti della Madonna del Rosario di Pompei si ritrovano in preghiera ad ogni latitudine per la “Supplica”, per vivere, insieme con lei, quella che Bartolo Longo definiva “L’Ora del Mondo”.
Le siamo tutti grati per aver accettato l’invito e, ne sia certo, non mancheremo di affidare la Sua persona e il Suo ministero alla Vergine del Santo Rosario di Pompei. Benvenuto!
Tommaso Caputo
Arcivescovo Prelato di Pompei
Delegato Pontificio per il Santuario