I giudici di Napoli hanno assunto una decisione che potrebbe rivelarsi decisiva in merito agli esiti delle ultime indagini condotte dalla Procura antimafia. Un’inchiesta vasta e dirompente, che lo scorso 11 ottobre portò agli arresti di 21 persone, accusate a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, traffico di droga, usura, riciclaggio, tutti reati aggravati dal metodo mafioso.
Il clan, da sempre attivo tra Boscoreale e Boscotrecase, secondo gli investigatori si autofinanziava tramite usura ed estorsioni.
Dopo la prima scarcerazione “eccellente” – annunciata in anteprima dalla nostra testata relativamente alla posizione forse più grave, ovvero quella di “Franchino”, fratello del boss Peppe e’ Pesacane, che avrebbe retto il clan occupandosi anche di pagare gli “stipendi” agli affiliati – il Riesame ha rimesso in libertà Francesco Severino. Difeso dall’avvocato Antonio Usiello, Severino, finito sotto inchiesta perchè, secondo le indagini, avrebbe acquistato in concorso 1 kg di cocaina per poi rivenderlo ad emissari dei Limelli-Vangone, ha ottenuto la libertà “in assenza di gravità indiziaria“.
Stessa sorte è toccata a Ferdinando Cirillo (difeso dal legale Guido Sciacca) e Raffaele Solimeno alias “Raffaele a’capitana” (avvocato Giuseppe De Gennaro). Per entrambi, coinvolti nella retata dello scorso 11 ottobre, il Riesame ha deciso l’annullamento dell’ordinanza di custodia.
Una decisione che risulta clamorosa in particolare per quel che riguarda Solimeno (nella foto), che è stato l’unico degli indagati per cui sono cadute le contestazioni associative, in pratica i reati più gravi. Solimeno ha dimostrato che non c’erano le prove per ritenerlo un associato dei Pesacane, tesi difensiva accolta dal Riesame che lo ha rimesso in libertà, ribaltando la pronuncia del giudice per le indagini preliminari, emessa appena pochi giorni fa.
Solimeno, secondo gli investigatori, gestiva la piazza di spaccio al Piano Napoli di via Settetermini a Boscoreale con il movimento di grossi quantitativi di droga e risultava essere molto vicino a Giuseppe Pesacane e al nipote Alessandro Carotenuto. Proprio per questa sua vicinanza al boss gli veniva contestato il reato associativo. Per l’accusa era una specie di “braccio armato” del clan, utilizzato per commettere le azioni più violente e le rapine.
L’inchiesta, nel fratempo, prosegue. Comunque. Le autorità cercano infatti di individuare Gabriele Pesacane, ancora latitante, al fine di svelare ulteriori dettagli sulle attività del clan.
Salvatore Piro