Addio mia bella Napoli. La speciale classifica che legge la “Qualità della vita” vissuta in un centinaio e passa di città capoluogo o importanti del Bel Paese, elaborata e pubblicata dal quotidiano “Il Sole 24 Ore”, la condanna senza appello. La piazza al terzultimo posto nella scala del pollaio.
Dopo Napoli, al centocinquesimo posto, ci stanno solo Caltanissetta e Foggia. E, se è vero, come è vero, che la vita è fatta a scale e che dunque, c’è chi scende e c’è chi sale, Napoli scende.
Il capoluogo perde ben sette posizioni rispetto all’anno scorso. E perde anche se altri capoluoghi regionali, come ad esempio Benevento, risalgono di alcuni posti. Ecco. Napoli non va bene. Anzi, va peggio. Ovvero, tutto quanto si è visto e si sta vedendo e si magnifica della città in… città, è fumo. Niente arrosto. Fumo che esce dalle mille pizzerie, pub, paninoteche, cantine, ristorantini, locali nati senza regole ma con l’unico obiettivo: sfruttare il nome della città, le sue bellezze, la sua storia.
Persino lo scudetto vinto dal Napoli, ha portato l’acqua a quel mulino. I bassi del centro storico, trasformati in kebbabberie, gli appartamenti in cui trovavano alloggio i ragazzi fuorisede della Federico II, diventati bed & breakfast, le botteghe dei maestri d’arte trasformate in vinetterie.
E la puzza. Un tanfo acre che ti afferra la gola e ci resta come se ci si fosse messo a pigione fino a quando non ti allontani da quell’area. Ti opprime il flusso ininterrotto di migliaia di turisti che girano per San Gregorio Armeno, Spaccanapoli, Tribunali, Museo attirati dal folklore e dalle storielle facete che gli hanno propinato i depliant turistici. Strade in cui non ti puoi fermare un solo momento: il fiume umano (?) te lo vieta. Ti trascina come la corrente vorticosa di un torrente. Guai a invertire la direzione: sbatti contro centinaia di esseri che come un enorme gregge si muovono al suono del campanaccio del pastore.
Non ci credete? Provate a farvi un giro per il centro storico, oggi o domani o nei giorni a venire. Se non avete il cuore buono o soffrite di agorafobia (paura della folla) siete belli fritti. Come le saporite pizze della Masardona.
Tutto nasce da una specialissima classifica messa a punto sulla base di novanta indicatori suddivisi in grandi categorie come ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografia, società e salute, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Insomma una serie di parametri che una volta messi assieme sono capaci di dare un’istantanea veritiera della vita cittadina.
Per quello che riguarda la sezione “ricchezza”, a Napoli, eccetto un numero scarno di personaggi e commercianti, per il resto, c’è una grossa fetta di umana povertà. Per le altre sezioni siamo quasi sullo stesso livello, o più in basso: vedi sezione “sicurezza” mortificata dai tanti delitti la quasi totalità dei quali non viene nemmeno denunciata dal poveraccio che ha subito il furto o lo scippo, se non gli hanno fregato pure i documenti.
Peggio va la “salute” pronto soccorso ai limiti della resistenza, esiguità di medici e operatori sanitari, mesi o anni d’attesa per un esame che se non lo fai potrebbe costarti la vita.
Non parliamo della Cultura. Se tanto mi da tanto, le antiche librerie di Port’Alba stanno sparendo una alla volta; i giornalai (i giornalisti, come vengono indicati nella comune parlata) rimasti a Napoli e nel centro storico, sono scomparsi quasi tutti. Il loro chioschi dai mille giornali e dalle riviste multicolori sono diventati rivendite di cartoline e paccottiglia cinese. Dice: perché il giornale è cultura? Certo che è cultura. Chi non legge s’impoverisce ogni giorno di più.
E, come era logico, sono scattate le accuse alla politica: La destra accusa la sinistra del “fallimento”. Vengono bocciate l’amministrazione cittadina e quella regionale. E si canta vittoria. Senza capire che quando la nave affonda, si affonda tutti, dal capitano al secondo, sino all’ultimo mozzo. Compresi i crocieristi ovvero quelli che girano, girano e visitano, visitano e parlano, parlano e mangiano, mangiano. E a Napoli ce ne stanno a iosa di questi “crocieristi”.
Carlo Avvisati