Il mondo della pubblicità, intesa come gli spot brevi e dinamici che passano in TV, non ha una lunga storia ma porta con sé un enorme bagaglio di conoscenze e teorie di marketing applicato. La pubblicità in senso stretto, invece, esiste praticamente da sempre, cioè da quando esiste il commercio.
Oggi come allora si utilizzano tecniche e strategie capaci di abbattere tutti i dubbi e le perplessità delle persone per spingerle a comprare. Ciò che è cambiato è il mezzo, cioè il set di strumenti utilizzato per veicolare questo tipo di messaggi pubblicitari; se un tempo i commercianti vociavano al mercato, oggi quegli stessi valori in vendita vengono impacchettati in mini-video dall’alto potere persuasivo e veicolati in rete o in TV.
Se osserviamo come operano le più moderne agenzie specializzate in produzioni video Milano ad esempio balza subito all’occhio una caratteristica prevalente, cioè quella dello studio del pubblico e dell’utilizzo di termini e concetti “inclusivi”. Questo modo di creare contenuti video è molto diverso rispetto al passato e oggi analizzeremo le possibili ragioni.
Messaggi pubblicitari inclusivi e divisivi
Per molti anni la pubblicità è stata di tipo mono-direzionale, nel senso che lo spettatore o il lettore “subiva” in modo passivo lo spot, cioè un contenuto che interrompeva la visione/ascolto di un programma o la lettura di una pagina di giornale. La pubblicità aveva una sola direzione, cioè dal brand al consumatore, e non vi era modo di capire, se non tramite stime e percentuali, qual era il numero esatto di persone effettivamente coinvolte dal contenuto promozionale.
Oggi il contenuto pubblicitario circola su tanti nuovi media e strumenti, molti dei quali permettono agli utenti di interagire in tempo reale con il brand promotore o con la pubblicità stessa. Questo significa che, in caso di errore, basta una manciata di minuti per sollevare un polverone in rete e mettere in crisi l’intera reputazione di un’azienda. Ecco perché, parallelamente al nascere di nuove spinte sociali e alla diffusione della nuova era di diritti civili, le aziende sono diventate più caute nel comunicare.
Guardando un vecchio spot pubblicitario, infatti, è facile imbattersi in contenuti che, prima del web, potevano destare ilarità e approvazione e che oggi, invece, susciterebbero un grande orrore generale. Per molti sociologhi la biunivocità dei nuovi media e la possibilità di interagire con loro in modo istantaneo e diretto hanno, di fatto, cambiato per sempre il modo di costruire una pubblicità.
Cosa è cambiato?
In primo luogo la pubblicità contemporanea permette di stimare in modo esatto quanti utenti hanno interagito, quanti hanno abbandonato subito, la loro età, la loro provenienza e persino le loro preferenze. Il tutto, ovviamente, avviene tramite software e piattaforme pubblicitarie soggette alle norme nazionali ed europee sulla privacy e, quindi, in forma anonimizzata.
In passato, invece, si utilizzavano le percentuali di share televisivo o le ipotesi di traffico su determinati punti della città per l’installazione di cartelloni pubblicitari. In questi casi era impossibile conoscere l’esatto numero di persone che avevano visto la pubblicità e, quindi, gli investimenti si basavano su tutt’altro tipo di presupposti rispetto ad oggi.
Ad esser cambiato è anche il piano delle libertà individuali e dei diritti civili, una forma avanzata della giurisprudenza che è evoluta anche grazie all’avvento di internet. Ecco perché le aziende non possono più evitare l’utilizzo di linguaggi e contenuti inclusivi, cioè rispettosi di tutte le individualità e le minoranze.
Creare contenuti pubblicitari, specialmente quelli in formato video che vanno per la maggiore, quindi, significa assumersi una grande responsabilità sociale in merito ai valori o ai messaggi che saranno veicolati. Ecco perché conviene affidarsi ad agenzie specializzate in produzione video e ascoltare sempre il parere di un esperto in materia.