Il Gazzettino vesuviano | IGV

Castellammare, scarcerato il boss Raffaele Di Somma dopo quasi 30 anni di carcere

Castellammare, scarcerato il boss Raffaele Di Somma dopo quasi 30 anni di carcere

Dopo quasi trent’anni trascorsi tra carcere e casa lavoro, Raffaele Di Somma, noto come ‘o ninnillo, venerdì pomeriggio ha fatto ritorno nel rione di Santa Caterina, il suo storico fortino. I giudici, accogliendo l’istanza del suo legale, hanno decretato la “sopravvenuta mancanza di pericolosità” del boss, una figura di primo piano della camorra stabiese degli anni ’90.

Dal carcere al ritorno a Santa Caterina

Dopo due anni trascorsi in una casa lavoro, Raffaele Di Somma, figura chiave del quartiere Santa Caterina, ha fatto ritorno nel rione venerdì pomeriggio. Il suo rilascio arriva a seguito di una lunga detenzione iniziata nel 1996, in cui ha scontato condanne per associazione mafiosa e omicidio.

Il nome di Di Somma è indissolubilmente legato al maxi-processo Sigfrido, un procedimento lungo e complesso che ha svelato il tessuto criminale della camorra stabiese. Condannato a 28 anni di carcere per il vincolo della continuazione di reati pregressi, Di Somma ha lasciato il carcere nel 2022, beneficiando di uno sconto di pena.

La sua permanenza in libertà è stata breve: successivamente, è stato trasferito in una casa lavoro. Ma ora, con l’ultima decisione del Tribunale, ha chiuso definitivamente i conti con il sistema penitenziario. La sua scarcerazione avviene dopo quella di Paolo Carolei uscito dall’isolamento del 41 bis per tornare circa tre anni fa a Castellammare.

L’ascesa criminale e il clan dei “falsi pentiti”

Le sentenze del processo Sigfrido ricostruiscono la figura di Raffaele Di Somma come boss del quartiere Santa Caterina, un ruolo che ha mantenuto fino alla metà degli anni ’90. Inizialmente affiliato ai D’Alessandro, storica famiglia camorristica di Scanzano, Di Somma divenne poi il leader del cosiddetto clan dei falsi pentiti, una frangia ribelle che cercò senza successo di detronizzare i D’Alessandro.

Secondo le ricostruzioni giudiziarie, Di Somma giocò un ruolo centrale nella sanguinosa guerra tra i clan D’Alessandro e Imparato, periodo in cui fu responsabile di almeno sette omicidi. Parallelamente, gestiva per conto del clan il traffico di droga, elemento chiave dell’economia camorristica.

Tuttavia, la sua lealtà ai D’Alessandro si incrinò, portandolo a essere condannato a morte dalla stessa cosca. In questa fase critica, Di Somma decise di collaborare con la giustizia, fornendo nel 1997 testimonianze che sarebbero poi state inserite nel maxi-processo contro la cupola camorristica.

I verbali e l’eredità di sangue

I verbali firmati da Di Somma nel 1997 hanno contribuito a delineare il sistema di potere dei D’Alessandro, includendo una fitta rete di estorsioni, corruzione e traffico di droga, oltre a ricostruire i numerosi omicidi che hanno segnato quegli anni. Tuttavia, il suo pentimento fu breve, tanto da valergli l’appellativo di “capo del clan dei falsi pentiti”.

Negli ultimi due anni, Castellammare di Stabia ha visto il ritorno in libertà di diverse figure di spicco della camorra, tra cui Pasquale D’Alessandro e Giovanni D’Alessandro, rispettivamente figlio e cugino del defunto boss Michele D’Alessandro, storico fondatore della cosca.

Preoccupazioni per la sicurezza sul territorio

La scarcerazione di Di Somma ha inevitabilmente acceso l’attenzione delle autorità sul territorio di Castellammare. Nonostante i giudici abbiano dichiarato il boss non più pericoloso, il ritorno di figure come ‘o ninnillo suscita preoccupazioni tra le forze dell’ordine e i cittadini.

Con un passato segnato da violenza e intrighi, il suo rientro nel quartiere di Santa Caterina rappresenta una sfida per chi combatte la criminalità organizzata in una zona ancora fortemente segnata dalla presenza camorristica.

Exit mobile version