Edoardo Bennato, la musica nel destino

Su Rai 1, un documentario racconta le tante sfaccettature di un cantautore anticonformista

“Sono nato a Napoli, anzi, a Bagnoli, periferia industriale, tra il fumo e il rumore delle acciaierie. Sono nato in viale Campi Flegrei 55, un numero che mi piace, che suona bene, e che mi ha portato sempre fortuna… in fondo era scritto nei numeri, nel destino. Pecché a Napoli 55 è ’a musica”.

Così Edoardo Bennato si racconta in una delle sue canzoni, ed è da qui, dalla periferia del capoluogo partenopeo, che inizia l’avventura musicale di un artista versatile rimasto sempre fedele a sé stesso, protagonista del documentario “Sono solo canzonette”, in onda in prima serata il 19 febbraio.

Cantautore, rocker, architetto, grillo parlante, voce fuori dal coro, autore prolifico di canzoni e molto altro, Bennato è sempre stato capace di coinvolgere il pubblico con immediatezza, suscitando il ballo, e, un momento dopo, la riflessione, motivato com’è sempre stato dal desiderio di trasmettere emozioni (“La musica”, dice, “è uno scambio di emozioni tra chi la fa e chi la ascolta”) e di essere interprete del suo tempo sin dagli esordi negli anni Settanta.

In quegli anni di cambiamenti nel costume, nella politica, nel cinema e nella televisione, sul palco del Festival di Civitanova Marche dove avviene il suo debutto ufficiale, canta i brani punk scritti ispirandosi alla musica che sente suonare per strada, a Londra. Con la sua voce inconfondibile, la chitarra a tracolla e l’armonica a bocca da one man band, diventa “il rappresentante ideale dell’insoddisfazione giovanile in tutta Italia”.

Sono anni di gavetta in cui Bennato incrocia grandi artisti come Lucio Battisti (di lui, Bennato ricorda il suo essere un grande musicista che si affidava ad altri per scrivere i testi), Bob Dylan e Fabrizio De André, ai quali lo accomuna la scrittura di testi che non sono mai “solo canzonette”, ma frutto di una libertà creativa che gli permette di affrontare con ironia argomenti su cui riflettere.

La cosa più complicata”, afferma Bennato, “è quella di fare i testi, perché si corre sempre il rischio di essere retorico, didascalico, paternalistico, moralista, e io cerco sempre di evitarlo. Quando sali sul palco e fai musica, l’obiettivo non è quello di dare informazioni o fare il preveggente, ma di dare emozioni, carica e propositività agli altri”. È il caso di “La torre di Babele” (uno dei suoi album più famosi, di cui Bennato ha disegnato personalmente la copertina), che ricorre all’ironia “per evidenziare la schizofrenia dei singoli e di un’intera comunità” e che parte da quel presupposto per invitare a “non fermarsi, a darsi da fare per costruire una torre sempre più alta e bella per sfidare la natura”.

Anche le fiabe e i loro personaggi – “Il gatto e la volpe” dell’album “Burattino senza fili” e il Peter Pan di “L’isola che non c’è” (nell’album “Sono solo canzonette”) ‒ sono diventati, per l’artista partenopeo, un tramite originale per dire cose importanti e per mostrare le virtù e le debolezze umane. A proposito dei riferimenti a Pinocchio, Bennato fa notare che “Collodi aveva previsto già tutto, disegnando i personaggi che impersonano i persuasori occulti, i manipolatori e tutti quelli che, al giorno d’oggi, si azzuffano fra di loro”. Se le immagini sono forti, ne trae beneficio anche la musica e viceversa.

La versatilità di Edoardo Bennato, che spazi dalla one man band degli esordi, alla band rock, alla videomusica, all’Orchestra Sinfonica (Bennato considera Rossini “l’antesignano del musical americano” e ha inserito nel suo repertorio brani del compositore pesarese) fa di lui un eterno cantastorie, sempre e comunque ottimista e propositivo. Convinto della necessità di far capire o anche solo intuire, attraverso una canzone, l’importanza di “coltivare i propri dubbi, anziché barricarsi nelle proprie certezze, per il bene comune”.

Viviana Rossi

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