Dopo sei mesi, sono state pubblicate ieri le motivazioni della sentenza del 13 novembre scorso che ha portato all’assoluzione piena di tutti gli imputati nel processo per presunto voto di scambio, tra cui il sindaco Pasquale Aliberti. La Procura Antimafia di Salerno aveva chiesto per lui 6 anni e 9 mesi di reclusione. Il collegio della prima sezione penale (presidente Apicella, a latere Federico Noschese e Giuseppe Palumbo) ha stabilito che “il fatto non sussiste”.
Secondo i giudici, non solo non è stato possibile attribuire condotte illecite agli imputati per quanto riguarda il presunto patto tra politica e clan, ma non è emerso neppure un indizio concreto per supportarlo. Questo vale sia per Monica Paolino, moglie del sindaco ed eletta nel 2015 in quota Forza Italia, sia per lo stesso Aliberti, attuale sindaco di Scafati.
Un ruolo centrale nella decisione dei giudici è stata l’inattendibilità attribuita a una lunga lista di collaboratori di giustizia: da Andrea Spinelli a Romolo Ridosso, da Massimo Fattoruso ad Alfonso e Pasquale Loreto. In particolare, “le dichiarazioni di Alfonso Loreto hanno mostrato molte ombre e incertezze, sia sulle persone coinvolte che per quanto riguarda gli incontri che avrebbero sancito il ‘patto’ facendo riferimenti contraddittori e imprecisi”, si legge nelle motivazioni.
Loreto, già condannato in via definitiva insieme a Luigi Ridosso, secondo i giudici avrebbe raccontato fatti non vissuti in prima persona, ma saputi successivamente, anche perché nel 2013, periodo al centro dell’inchiesta, si trovava prima in carcere e poi ai domiciliari. A ulteriore conferma, Loreto stesso aveva affermato che “Andrea Ridosso non era partecipe agli affari malavitosi della cosca” e che Aliberti aveva invitato il fratello di Luigi Ridosso a “dissociarsi dalla famiglia”.
Quanto a Romolo Ridosso, il suo racconto è stato giudicato “confusionario soprattutto per le elezioni della moglie del sindaco, Monica Paolino eletta in quota Forza Italia nel 2015, per la quale si sarebbe prodigato a procacciare voti in zone dove la candidata non era neppure presente”. Ma su un punto era certo: “Sia Luigi che Gennaro Ridosso non avevano mai parlato con Aliberti e i suoi familiari”.
Anche Antonio Iovine ‘o ninno, ex boss dei Casalesi, ha parlato solo in termini generici della cosca di Casal di Principe, senza menzionare direttamente gli imputati, affermando anzi di non conoscere nemmeno l’ex segretaria comunale Immacolata di Saia.
A completare il quadro, le dichiarazioni di Pasquale Loreto, ex primula rossa della Nco e padre di Alfonso, secondo cui “la nuova veste della camorra non poteva più fare soldi con droga ed estorsioni ma la strada doveva essere un’altra”. E sottolineava: “Il figlio non avrebbe avuto rapporti, mai avuti, con il sindaco Aliberti”.
Un altro elemento respinto dai giudici è il presunto “trait d’union” tra il sindaco e il clan attraverso Andrea Ridosso, per via di un curriculum trovato nella stanza di Aliberti: “Se proprio Ridosso junior avesse chiesto qualcosa lo avrebbe fatto a nome personale e non per conto del clan”.
La sentenza ha rappresentato una piena assoluzione per tutti gli imputati, difesi dagli avvocati Silverio Sica, Giuseppe Pepe, Gregorio Sorrento, Roberto Acanfora e Gennaro Maresca. Ora resta da capire se la Direzione Distrettuale Antimafia deciderà di impugnare la sentenza con un ricorso in Appello.
Sarah Riera