Pestaggi, riciclaggio e affari d’oro nel mercato del pesce: è questo lo scenario inquietante che emerge dalle oltre 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita la scorsa notte dai carabinieri di Castellammare di Stabia e dal Nucleo Investigativo di Torre Annunziata, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia. Al centro dell’inchiesta, ancora una volta, il clan D’Alessandro, storicamente radicato a Scanzano, che avrebbe esteso e consolidato il proprio potere sul mercato ittico locale attraverso violenza e infiltrazioni economiche.
In particolare, al boss Vincenzo D’Alessandro sono contestati due violenti pestaggi ai danni di imprenditori locali, rei di essersi riforniti di pesce dal cugino Michele “Michelino” D’Alessandro, classe 1978, figlio di Luigi detto “Gigginiello”, fratello di don Michele. Michelino, attualmente indagato a piede libero nel processo “Cerbero”, secondo l’antimafia avrebbe una quota significativa del mercato ittico stabiese. Un’influenza che evidentemente dava fastidio al boss Enzuccio D’Alessandro, che rispose con la forza a chi non si allineava alle sue direttive.
Ma le violenze fisiche sono solo una parte della vicenda. L’inchiesta ha anche svelato un sofisticato sistema di riciclaggio dei proventi illeciti attraverso due aziende operanti nel mercato ittico di Mugnano, apparentemente legittime ma in realtà sotto il controllo del clan. Proprio in queste attività si riversavano i soldi sporchi della cosca, che così venivano ripuliti e reimmessi nell’economia legale.
Il legame tra il clan D’Alessandro e il mercato del pesce affonda le sue radici nel passato. Fin dalla fondazione del clan, quasi cinquant’anni fa, questo settore rappresenta uno degli affari più redditizi della cosca. Il giro economico ruota attorno a un asse ben strutturato tra la Grecia occidentale e Castellammare: dai porti ellenici arriva un flusso costante di pesce fresco che alimenta gran parte delle pescherie locali. Un flusso che frutta decine di migliaia di euro a settimana.
Gli investigatori sono riusciti a documentare, attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche, numerosi contatti tra Vincenzo D’Alessandro, alcuni uomini di fiducia e un imprenditore del napoletano, formalmente non indagato, ma di fatto al servizio del clan. Secondo quanto ricostruito, l’uomo agiva come “testa di legno”, girando mensilmente una quota in denaro al boss e mostrando piena sottomissione alla cosca. Emblematico un episodio riportato nelle carte dell’ordinanza: l’imprenditore avrebbe persino chiesto se al figlio minore di don Michele D’Alessandro sarebbe stato gradito un cesto natalizio, segno ulteriore della reverenza e dell’asservimento al clan.
Sarah Riera