Tangenti, regalie e rimborsi illeciti per spingere gli interessi di Huawei nel cuore delle politiche Ue: è questo il sospetto al centro della nuova bufera che investe l’Eurocamera. Dopo il blitz del 13 marzo tra Belgio, Francia e Portogallo e le successive perquisizioni, il cosiddetto Huaweigate è approdato formalmente al Parlamento europeo con la richiesta della procura federale del Belgio di revocare l’immunità a cinque eurodeputati.

Nel mirino: tre esponenti italiani di Forza Italia – Fulvio Martusciello, Salvatore De Meo e Giusi Princi – insieme al bulgaro Nikola Minchev (Renew Europe) e al maltese Daniel Attard (Socialisti). L’annuncio è stato dato in plenaria dalla presidente Roberta Metsola, dopo che i deputati coinvolti avevano già dichiarato la loro totale estraneità ai fatti.

“Il 25 giugno 2024 ero a Reggio Calabria, alla recita scolastica di mia figlia”, ha spiegato   , contestando l’accusa con una precisa ricostruzione. “Sono stata proclamata eurodeputata solo il 3 luglio”, ha aggiunto, sostenendo si tratti di uno scambio di persona. Salvatore De Meo, da parte sua, ha detto di aver accolto “con stupore” la richiesta della procura e ha respinto “fermamente ogni addebito”.

L’ipotesi investigativa non si limita a movimenti di denaro o pressioni su dossier sensibili come il 5G, ma include anche episodi apparentemente marginali. Nelle comunicazioni ricevute dagli europarlamentari si citano ad esempio biglietti omaggio per partite di Champions tra Anderlecht e Ludogorets, o un aperitivo informale davanti all’Eurocamera.

Uno snodo fondamentale dell’inchiesta è una lettera datata 4 gennaio 2021, firmata da circa quindici eurodeputati ed ex eurodeputati – in prevalenza Popolari e Socialisti – e ritenuta dalla procura frutto dell’influenza di Valerio Ottati, cittadino italo-belga considerato il principale referente di Huawei per gli affari europei. Gli inquirenti lo indicano come l’architetto dello schema corruttivo.

Un contributo alle indagini è arrivato anche da Lucia Simeone, collaboratrice di Martusciello, fermata il 20 marzo nel Casertano con un mandato d’arresto europeo. Dopo essersi resa disponibile a collaborare con la giustizia belga, è stata rimessa in libertà.

L’indagine è ancora nella sua fase preliminare: la richiesta di revoca dell’immunità rappresenta solo un passaggio tecnico per consentire l’avvio formale delle indagini, ma non implica automaticamente un’imputazione.

Intanto, l’approccio della procura federale belga sta iniziando a sollevare malumori a Bruxelles. Dopo lo strascico del Qatargate, rimasto irrisolto e ancora avvolto da ombre, cresce l’insofferenza nell’Europarlamento verso quella che diversi deputati definiscono una vera e propria ingerenza giudiziaria. Il tema è stato sollevato anche dal vicepremier Antonio Tajani in un confronto diretto con Metsola. E c’è chi, dalle file del PPE, arriva a evocare lo spostamento della sede legale del Parlamento dal Belgio alla Francia.

Dal fronte della procura, però, tutto tace da settimane. L’ultima nota ufficiale è datata 4 aprile e confermava otto indagati, per lo più sottoposti a misure cautelari attenuate, come braccialetto elettronico o libertà condizionata, dopo un’iniziale detenzione preventiva.

Sarah Riera

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