Capri, isola di approdo e di ritorno

Capri è stata e rimane l’isola dell’utopia. Un’alternativa alla realtà diventata a più riprese, nel corso dei secoli, mèta di approdo e di rinascita.

Certo, la situazione attuale di totale invivibilità dell’isola, specie durante l’alta stagione, con un’affluenza di turisti che supera le capacità di accoglienza di un luogo unico al mondo, ha peggiorato la qualità della vita di residenti e visitatori.

In un passato ormai remoto ma indimenticato, c’è chi l’ha eletta a luogo ideale dell’“otium”, come l’imperatore Augusto, e chi, invece, vi ha trovato rifugio, come il suo successore Tiberio. Chi sceglie Capri come dimora ideale lo fa perché l’isola ha un fascino unico e raro: è un monumento di roccia in mezzo al mare, una macchia di verde così imponente da prendere quasi le distanze dall’azzurro che la circonda.

Un documentario proposto in prima visione da Rai Storia il 9 giugno (dal titolo “Capri, l’isola rifugio”, disponibile su RaiPlay), prende avvio dal racconto della Capri di fine Ottocento, quando Axel Munthe, medico svedese appassionato di antichità, vi fa edificare Villa San Michele, la casa dei suoi sogni, una delle prime costruzioni eclettiche dell’isola “aperta per il sole, per il vento e per le voci del mare, e luce, luce, luce dappertutto”. Un’armonia di spazi chiusi e aperti, capace di fondere in un solo luogo ‒ alla sommità della Scala Fenicia con i suoi 737 gradini ‒ architettura e archeologia.

Fino all’inizio del Novecento, l’isola diventa una sorta di grande calamita che attrae personaggi provenienti dall’Europa e dall’America, una specie di crocevia internazionale di destini e personalità variegate, come molti pittori, per lo più tedeschi, che la ritraggono come un luogo esotico e terreno fertile delle correnti artistiche di avanguardia, e che danno l’avvio a una moda orientaleggiante che si rifletterà sulle architetture dell’epoca (una fra tutte, la torre di Villa Discopoli, simile a un minareto, che richiama i motivi delle moschee islamiche).

Chi guarda alla storia antica dell’isola è anche il barone francese Fersen, rifugiatosi a Capri perché omosessuale, che fa concepire la magnifica Villa Lysis (all’estremità occidentale di Capri, in diretta connessione con la Villa Iovis di Tiberio) come scenografia della sua vita nella quale vivere un tragio sogno d’amore che lo porterà al suicidio.

L’arrivo del fascismo porta ad una rottura vera e propria con l’eclettismo architettonico e con le libertà sessuali. Capri deve diventare meta turistica di élite e le nuove costruzioni devono richiamarsi allo stile tradizionale della casa caprese bianca, ricoperta di un rivestimento di battuto di lapillo e latte di calce. Protagonista dell’epoca è Edwin Cerio, ingegnere caprese che inaugura una nuova fase con l’organizzazione, nel 1922, del primo Convegno sul Paesaggio all’indomani della legge Croce sulle bellezze naturali e il patrimonio storico e artistico. L’isola diventa, così, teatro di un dibattito sul delicato rapporto tra l’opera umana e il paesaggio e la sua tutela.

Salvare Capri dall’architettura intensiva, attribuendole la stessa dignità dell’ambiente naturale isolano, si è dimostrata presto un’illusione: il turismo di massa, che l’ha presa d’assalto dal secondo dopoguerra in poi attirato dalla presenza delle élite, ha aumentato a dismisura la cementificazione, pur mantenendo visibili ancora oggi, nell’abitato, le tracce di chi vi ha vissuto e chi l’ha amata, nel tentativo di raggiungere uno stato di felicità totale.

Perché chi ama davvero Capri non la considera mèta di un’escursione fugace, e sa di doversi immergere in una dimensione lenta e consapevole, contribuendo a rispettare il delicato equilibrio tra opera dell’uomo e unicità delle bellezze naturali.

Viviana Rossi

 

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