Giancarlo Siani. Il coraggio di scrivere”. È il titolo del podcast di Rai Radio 3, disponibile sulla piattaforma Rai Play Sound, dedicato al giovane cronista ventiseienne de Il Mattino di Napoli, ucciso il 23 settembre 1985 mentre parcheggiava l’auto sotto la sua abitazione nel capoluogo partenopeo.

La condanna per aver scritto la verità

La colpa di Siani, che decretò la sua condanna a morte, era stata quella di scrivere un articolo nel quale svelava il tradimento dei boss del clan Nuvoletta di Marano di Napoli (affiliati ai corleonesi di Totò Riina) ai danni del boss Gionta, alleato dei Nuvoletta, per mettere fine alla faida nascente con i Casalesi.

Nella sua breve carriera di corrispondente per Il Mattino da Torre Annunziata, Siani aveva denunciato, dalle pagine del giornale, l’attività di alcune cosche criminali, la loro espansione economica e le alleanze delle famiglie camorriste di Napoli e dintorni, portando a diversi arresti nel mondo della mala e in quello politico, e pagando, per questo, con la vita.

Un giovane “abusivo” senza protezione

Siani era un “abusivo”, termine che, nel gergo giornalistico, identifica i giovani collaboratori che ambivano ad avere un contratto stabile nelle redazioni dei quotidiani e che si trovavano a fare il lavoro sporco”, sostituendo, ad esempio, i colleghi più anziani durante le ferie. Chi ha condiviso con lui le giornate di lavoro da ultimo arrivato, senza orari prestabiliti, ricorda che, all’epoca, c’erano solo il giornalista e il fatto da raccontare, senza l’ausilio di cellulari o internet che potessero garantire anche una qualche forma di tutela contro le frequenti minacce a cui i cronisti erano, e sono, esposti.

Nelle parole del fratello Paolo, Giancarlo era il ragazzo “allegro, sorridente, spiritoso, con una grandissima capacità di comunicare e di parlare con tutti” che le immagini diffuse dai media hanno restituito di lui. Un cronista attivo nel sociale, impegnato a dar voce alla parte buona delle città di Torre Annunziata, con “l’idea di un giornalismo che potesse educare le coscienze, cercando di mettere in evidenza il buono dietro il male”, convinto com’era “che questo male dovesse essere raccontato per farlo venire alla luce e superarlo”.

Una realtà criminale intrecciata alla politica

La realtà che Siani si trova a raccontare all’inizio della sua attività di giornalista è quella di una città del Vesuviano con un contesto simile a quello del centro storico di Napoli, “con la differenza ‒ spiega il saggista Isaia Sales, docente di Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno ‒ che il mondo malavitoso camorristico era in stretti rapporti con la politica, perché, dal contrabbando di sigarette e dal traffico di droga, si stava passando al mondo imprenditoriale, in particolare al settore dell’edilizia”.

Piaghe sociali e reclutamento criminale

L’altissimo tasso di disoccupazione (nel 1985, il 9,6% in Italia, e a Torre Annunziata il 16,6% della popolazione totale), la dispersione scolastica tra le più alte della Campania e il miraggio del lavoro giovanile che alimenta la delinquenza delle baby gang locali sono solo alcune delle piaghe che affliggono la città in quegli anni, e che favoriscono il reclutamento di affiliati per trasformare i giovani disoccupati e chi fa uso di droghe in camorristi. Giancarlo Siani scrive l’ultimo articolo della sua vita proprio sui ragazzi sfruttati dalla camorra che li porta dentro il crimine e li rende pronti a tutto pur di arricchirsi facilmente, facendo passare il messaggio che più si è violenti, più si diventa qualcuno.

In parallelo, Siani va a fondo delle questioni di Torre Annunziata e degli affari del suo boss, non limitandosi a raccontare fatti di dominio pubblico e “danno lustro” alle imprese dei camorristi, che amano sentir parlare delle loro “gesta”, ma offrendo elementi che possono aiutare gli investigatori a scavare nell’attività dei clan.

La verità giudiziaria e la memoria difficile

Solo dodici anni dopo la sua morte, anni di depistaggi alle indagini e di tentativi di disonorare la sua memoria, sono stati scoperti e condannati i mandanti e gli esecutori dell’omicidio, e il processo ha chiarito, per la prima volta in Italia, che Giancarlo Siani è stato ucciso per “un reato di scrittura”.  Quello che è stato “un successo per lo Stato, per la magistratura e per le Forze dell’Ordine”, dice Paolo Siani, “non è stata una gioia per noi. Il dolore c’era e c’è”.

Un dolore che fa sentire la mancanza di un ragazzo “armato solo di penna”, desideroso semplicemente di scrivere e raccontare la verità.

Viviana Rossi

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