Omelia di Monsignor Vincenzo Pisanello Vescovo di Oria
Saluto e ringrazio S.E.R. Mons. Tommaso Caputo, Arcivescovo-Prelato e Delegato Pontificio di questo Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, per l’invito a presiedere questa solenne liturgia in questo giorno molto particolare: è la prima domenica di ottobre ed è il 99° anniversario dell’ingresso nell’eternità del Fondatore di questo splendido Santuario, con tutte le sue Opere, e della Nuova Pompei, il Beato – potremmo, forse, già dire Santo – Bartolo Longo. È il più grande privilegio che mi potesse concedere S.E.R. Mons. Caputo, ed è, per me, una gioia incontenibile essere qui questa mattina. Com’è noto, il Beato Bartolo Longo è nato a Latiano, in provincia di Brindisi, nella Diocesi di Oria, di cui io sono indegno Pastore. Ed essere qui, nel giorno della Sua festa e nel giorno in cui si recita la Supplica alla Beata Vergine del Rosario da Lui composta, lo considero il più grande dono che la Madre Maria mi potesse concedere. Per questo dico: grazie, Mons. Caputo; grazie Beato Bartolo Longo, grazie Beata Vergine del Rosario.
Saluto con viva cordialità i Vescovi presenti, i Sacerdoti e i Diaconi, le Religiose e i Religiosi e tutti Voi, pellegrini giunti a Pompei, peraltro messi a dura prova, sotto l’acqua. Chiedo alla Madonna, per tutti noi che siamo qui oggi, di sentire nel profondo del nostro essere la Sua materna benedizione e il Suo bacio santo sulla nostra fronte, per ripartire da questo luogo santissimo riconciliati, rinnovati e desiderosi di santità, fortemente motivati a propagare il Rosario benedetto di Maria, quale mezzo per la nostra santificazione e preghiera propiziatoria per chiedere la pace per il mondo intero, in questo tempo di “terza guerra mondiale a pezzi”, secondo l’intuizione di Papa Francesco.
La Parola di Dio, che abbiamo ascoltato in questa XXVII domenica del tempo ordinario, bene esprime i sentimenti che affollano la nostra mente e la nostra coscienza ed il grido verso Dio del profeta Abacuc diviene il nostro grido: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese” (1, 2-3). È sufficiente volgere lo sguardo all’Europa e al Mediterraneo per potersi rendere conto che sorta di violenza viene perpetrata, soprattutto verso gli indifesi ed inermi, bambini e anziani. E nonostante da tempo, anche su sollecitazione dei Sommi Pontefici, Francesco e Leone XIV, stiamo invocando da Dio il dono della pace per quelle terre martoriate, ma anche per i tutti i luoghi che sono in guerra, sembra che il Padre della misericordia non voglia ascoltarci. E allora, dinanzi a questa facciata del Santuario di Pompei, intitolata alla pace universale e inaugurata nel 1901, all’inizio del secolo scorso, salga a Dio per intercessione della Madonna di Pompei, ancora più forte, il grido di pace e, integrando le parole della Supplica, preghiamo: “Pietà e pace oggi imploriamo per le Nazioni traviate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo, perché pentito ritorni al tuo Cuore. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia!”.
Certamente la risposta di Dio ad Abacuc ci incoraggia: “«Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede»” (2, 2-4). Il Signore ci invita a fondare la nostra esistenza sulla fede che, in altri termini, vuol dire abbandonarci alle Sue mani, obbedire alla Sua santa volontà, acquistare uno sguardo contemplativo che sappia vedere l’invisibile e sappia sperare contro ogni speranza (cfr. Rom 4, 2-18). Siamo nell’Anno Giubilare ed è proprio la speranza che stiamo chiedendo in continuazione al Signore.
Ora proprio Pompei, la nuova Pompei, con lo splendore del suo Santuario e con le Opere di carità ad esso collegate, dà corpo alla nostra speranza, ci permette di vedere un mondo nuovo, fondato sulla fede e manifestato dalla carità. Sono proprio le tre virtù teologali, cioè doni di Dio, che hanno Dio come fine e che sono possibili solo attraverso l’azione divina nella persona e non derivano dallo sforzo umano, che hanno sostenuto il Beato Bartolo Longo e sua moglie, la Contessa Marianna Farnararo de Fusco, nell’intuire prima e nel realizzare poi, la Città di Maria, la nuova Pompei.
Com’è noto, tutto è partito in quel lontano ottobre del 1872 quando, giungendo nella Valle di Pompei, il nostro Santo continuava a domandarsi come avrebbe fatto a salvarsi, dato che aveva vissuto esperienze poco edificanti (adesione allo spiritismo, al positivismo – negando il soprannaturale – e all’ateismo pratico). Era verso mezzogiorno quando ebbe una monizione interiore: “Se propaghi il Rosario, sarai salvo!”. Che credito dare ad una tale ispirazione mentre girando solamente lo sguardo sulle campagne che doveva amministrare e sulle quali oggi esiste la Città di Maria, vedeva solo desolazione ed abbandono? È la fede di quest’uomo, un laico – lo voglio ribadire, un laico come tantissimi di Voi – che gli ha fatto credere in una ispirazione divina e gli ha fatto sentire la materna protezione di Maria Vergine. È la fede che gli ha permesso di vedere ciò che ancora non era visibile. È la fede che lo ha spinto ad iniziare a catechizzare i contadini, a ristrutturare la chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore e ad erigere una nuova chiesa dedicata alla Madonna del Rosario, la cui prodigiosa immagine arrivò a Pompei, su un umile carro di letame, il 13 novembre 1875, centocinquant’anni fa! Un giubileo nel Giubileo!
Quanto è importante riscoprire il dono della fede, che tutti abbiamo ricevuto con il Battesimo: credere è una condizione che ci mette dalla parte di Dio e ci permette di compiere azioni umanamente impensabili, che non hanno la sensazionalità della potenza umana ma che, a ben vedere, non sono realizzabili con le sole forze dell’uomo ma partono e si sostanziano con la grazia che viene da Dio.
Il commento più efficace alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi, “«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe” (Lc 17, 6), è proprio la testimonianza di fede del Beato Bartolo Longo: con il suo granello di fede, sostenuto dalla forza del Rosario, ha sradicato l’indifferenza religiosa da questa valle di Pompei e vi ha piantato il gelso dell’amore! È proprio questa fede, grande quanto un granello di senape, cioè piccolissima, che inocula l’entusiasmo nel compiere le opere di Dio, poggiandosi solo sulla sua divina provvidenza!
La fede è il motore ed il percorso che permette di compiere si chiama carità! La misura della fede è il servizio! Il nostro Santo diceva: “La carità senza la fede sarebbe la suprema delle menzogne. Ma la fede senza la carità sarebbe la suprema delle incongruenze”. Partendo da questa convinzione, il Beato Bartolo Longo diede inizio alle opere di carità, in particolare a favore dei bambini e degli adolescenti abbandonati o con gravi disagi sociali. Un’opera di particolare rilievo sociale, che però ha alla base una visione di umanesimo cristiano, è la fondazione dell’Istituto per i figli dei carcerati nel 1892 e, successivamente nel 1922, per le figlie dei carcerati. Secondo la visione cristiana, anche il peggior peccatore non è mai irrecuperabile, anzi il Signore offre a tutti occasioni continue e costanti di conversione e di cambiamento, per giungere alla redenzione. Secondo questa visione evangelica, il fondatore della Nuova Pompei guarda i figli dei carcerati non come potenziali criminali ma come figli amati da Dio e la cui cura avrebbe potuto salvare anche i genitori, detenuti in carcere. Questo è il miracolo della carità che parte dalla fede e che, ovviamente, apre alla speranza di un mondo nuovo, dove il bene regnerà sovrano!
Le virtù teologali, fede, speranza e carità, donate da Dio al Beato Bartolo, sono come le fondamenta di questa nuova realtà che è Pompei! Ma anch’ esse, come le travi di fondazione di un grande edificio, hanno bisogno di essere collegate tra loro. Ed è un’altra virtù, la più piccola fra tutte, che le tiene unite. Sto parlando dell’umiltà. Nel Vangelo abbiamo ascoltato il pressante invito di Gesù: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17, 10). Essere servo inutile, secondo il pensiero di Gesù, non vuol dire che la presenza del servo è indifferente e che può anche essere mandato via, ma che non può pretendere una ricompensa dal servizio che è chiamato a svolgere, non può richiedere un utile! In questo senso è inutile, perché non può chiedere un utile! Gesù ci invita a metterci a servizio non per una ricompensa ma perché chiamati a compiere quel servizio, la cui realizzazione è già ricompensa! Questo comportamento nasce dall’umiltà, che tiene insieme fede, speranza e carità.
L’avvocato Longo ha ben esercitato l’umiltà, ritenendosi servo inutile, cioè senza guadagno, e mettendo nelle mani del Papa tutte le Opere da lui realizzate. Ha saputo vivere da uomo libero non solo nei riguardi dei propri beni matrimoniali, ma anche dal grande frutto che questi hanno prodotto grazie al suo ingegno e al suo impegno.
Oggi le Opere del nostro Beato, adeguate al tempo presente, accolgono 250 tra bambini e adolescenti con problematiche sociali, spesso gravi; forniscono un pasto caldo a circa 150 persone quotidianamente; accolgono in un ambiente sereno e protetto gestanti, mamme e piccoli, specialmente migranti; e sono attive per il recupero di chi è finito nel dramma della dipendenza da alcol e da droga. E tutto nel nome di Maria! È stato detto che le virtù teologali sono dono di Dio all’uomo, ma richiedono l’accoglienza e necessitano di un comportamento che le protegga. Questo stile si acquisisce tramite la preghiera. Il Beato Bartolo è stato un uomo di grande preghiera ed ha frequentato, dopo la conversione, persone di grande preghiera, come Santa Caterina Volpicelli. Appare, così, chiaro che anche la frequentazione di persone spirituali aiuta a proteggere il dono della fede.
Ritornando alla preghiera, dopo la monizione interiore sul modo di salvarsi, il nostro Beato non tralasciò mai più il Rosario. Il suo essere terziario domenicano gli aveva permesso di conoscere e vivere la spiritualità di San Domenico di Guzman, al quale risale la strutturazione e la diffusione del Santo Rosario, che Egli avrebbe ricevuto direttamente dalla Madonna. Meditando i misteri del Rosario, si entra in un percorso, con la guida di Maria, di conoscenza e di assimilazione della vita di Gesù, dando così forma alla nostra identità cristiana: figli nel Figlio tra le mani della Madre! Ci illumina San Giovanni Paolo II: “Il Rosario pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. […]
Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla
contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore” (RVM, 1). La continua recita del Rosario e la meditazione dei misteri della vita di Gesù con gli occhi di Maria, portarono il Beato Bartolo a comporre, nell’ottobre del 1883, l’”Atto d’amore a Maria” o, come la conosciamo noi, la “Supplica alla Regina del Santo Rosario di Pompei”. È proprio un atto d’amore del figlio verso la Madre e le parole sono di una dolcezza e confidenza infinita: nel recitarle ci si sente come cullati dalla Madre, protetti dalle Sue braccia e dal Suo seno, sicuri dinanzi ad ogni evenienza.
Desidero ripetere le ultime parole della Supplica che, mi sembra, siano come una sintesi biografica del Beato Bartolo Longo: “O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti dell’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora di agonia, a te l’ultimo bacio della vita che si spegne.
E l’ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti.
Sii ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Amen”.
Un ultimo invito vorrei che rivolgessimo alla Regina del Santo Rosario di Pompei, un invito pressante, pronunciato con le labbra, che risuona nella nostra coscienza, che crediamo con tutto il cuore e che accompagniamo con le lacrime e la penitenza: “Mostrati a tutti quale sei, Regina di pace e di perdono”. Amen.
Mons. Vincenzo Pisanello
Vescovo di Oria









