Un racconto di rinascita sociale e di speranza. È quello portato sul piccolo schermo dalla serie televisiva “Noi del Rione Sanità” (che sta andando in onda dal 23 ottobre, in prima serata, su Rai 1, e che si concluderà il 6 novembre), ispirata all’omonimo libro autobiografico di Don Antonio Loffredo, parroco del rione partenopeo per più di vent’anni, che, nel 2006, ha fondato una cooperativa sociale con l’obiettivo di trasformare un quartiere malfamato e dimenticato di Napoli in un luogo dove vivere e lavorare fosse davvero possibile.
Il miracolo del Rione Sanità
Don Antonio è stato l’artefice del cosiddetto “miracolo del Rione Sanità”: un miracolo di rinascita iniziata con sei giovani volontari, nati e cresciuti alla Sanità (con cui ha fondato La Paranza Onlus, partendo dal recupero e dalla valorizzazione delle Catacombe di San Gennaro, e, via via, di tutti gli altri beni dimenticati), e proseguita elaborando un piano per riqualificare spazi abbandonati, dando vita a un nuovo polo culturale e turistico, e offrendo ai ragazzi del quartiere un’opportunità di lavoro nel campo dell’arte, dello sport e della cultura, come alternativa alla criminalità organizzata e al traffico di droga. Diventando protagonisti di un cambiamento.
Il cuore pulsante di Napoli
La trasformazione di un rione che è il cuore autentico e pulsante della città di Napoli e la figura di Don Antonio hanno ispirato la serie televisiva e il personaggio di Don Giuseppe Santoro (interpretato da Carmine Recano, il comandante Massimo di “Mare Fuori”), un prete visionario dall’animo imprenditoriale, un uomo coraggioso nato con la vocazione di salvare le anime con azioni concrete (una per tutte, il teatro fondato all’interno di una delle chiese della Sanità, che rappresenta un’alternativa reale per i giovani del quartiere). Don Giuseppe capisce di dover cambiare lo sguardo dei ragazzi senza futuro, convinto che solo avvicinandoli alla bellezza e all’arte possano trovare in queste risorse preziose la chiave per crescere – come individui e come parte di una comunità – guarire le proprie ferite, e risanare l’intero quartiere.
Le parole di Don Antonio Loffredo
“È stato molto bello seguire questa avventura nella quale non si racconta la mia storia, ma quella di noi del Rione Sanità” ha detto Don Antonio Loffredo, che è stato presente alla preparazione della fiction (aiutando “a cogliere le corde giuste per descrivere la sua avventura”, come ha affermato il regista della serie Luca Miniero). “Ho chiesto che il prete si potesse chiamare come il mio predecessore. Quando sono arrivato alla Sanità, c’era stato un martire prima di me, che aveva dissodato il terreno e che si chiamava Don Giuseppe. Era molto amato dal quartiere. Per diventare grande devi stare sulle spalle di qualche gigante, e sua è stata l’intuizione di connettere la cultura al capitale umano dei giovani per creare comunità”.
Il modello Rione Sanità
Don Antonio ha affermato di aver lasciato, dopo tanti anni, il rione Sanità “sicuro che quello che avevo messo su con i ragazzi era a misura dei ragazzi, che loro avrebbero potuto sostenere ciò che si era avviato. Noi sacerdoti a volte esageriamo nel pensare che senza di noi le cose finiscono. Se finiscono, significa che non abbiamo fatto nessuna azione pastorale. Se continuano, abbiamo messo una pennellata su un quadro molto più grande”. Nel suo caso, quello del “modello Rione Sanità”.
Viviana Rossi








